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  • Giovedì 10 novembre 2011

Bini Smaghi lascia la BCE

L'economista italiano si è dimesso dal comitato esecutivo, risolvendo il conflitto diplomatico con la Francia e forse preparandosi a qualcos'altro

Lorenzo Bini Smaghi si è dimesso dal comitato esecutivo della Banca Centrale Europea. La sua posizione era da tempo al centro di un conflitto diplomatico tra Italia e Francia, e da ieri il suo nome è molto circolato come possibile ministro di un eventuale governo Monti. Il comunicato ufficiale della Banca Centrale Europea dice che dal primo gennaio 2012 Bini Smaghi lavorerà Centro per gli Affari Internazionali dell’università di Harvard.

Il comitato della BCE è composto da sei membri, compreso il presidente della BCE. L’ultimo presidente della BCE era stato il francese Jean-Claude Trichet. Oggi il presidente è Mario Draghi, e questo aveva creato una situazione insolita, per quanto formalmente non irregolare: tra i sei massimi dirigenti della Banca Centrale Europea c’erano sono due italiani e nessun francese. La Francia chiedeva da tempo che Bini Smaghi si dimettesse per fare spazio a un suo rappresentante nel comitato esecutivo della BCE. Di fatto, però, non aveva nessun potere concreto per rimpiazzare Bini Smaghi o costringerlo a fare un passo indietro. E questo per le stesse ragioni evocate da Bini Smaghi nel suo rifiuto di dimettersi: la Banca Centrale Europea è un istituto autonomo dalle istituzioni politiche nazionali. Per questa ragione, Bini Smaghi considerava inopportune le pressioni ricevute e non considerava dovuto un suo passo indietro sulla base di quanto richiesto dai governi di questo o quel paese, pratica che a suo parere avrebbe minato l’autonomia della BCE.

A un certo punto una soluzione allo stallo era sembrata la nomina di Lorenzo Bini Smaghi a governatore della Banca d’Italia. Questa poi era saltata nella complicata trattativa delle ultime settimane – come è noto, il governo ha scelto Ignazio Visco – e quindi il nodo sulla posizione di Bini Smaghi era rimasto lì, da sciogliere.

foto: Stefano Meluni/LaPresse