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  • Giovedì 29 luglio 2010

Che cosa successe a Bangkok?

Un rapporto sugli scontri tra governo e camicie rosse cerca di chiarire le responsabilità delle parti

Il governo tailandese ha sempre sostenuto che durante gli scontri a Bangkok dello scorso aprile e maggio l’esercito ha sparato solo in caso di legittima difesa e che le misure di controllo usate per contenere i manifestanti erano in linea con quelle previste dagli standard internazionali. Ma in realtà, come hanno testimoniato molti video e immagini, quello che accadde in quei giorni per le strade della città assomigliò piuttosto a una guerra senza esclusione di colpi: 90 morti e più di 1.800 feriti. Oggi il “Committee to Protect Journalists” – un’organizzazione no profit che difende la libertà di stampa – ha pubblicato un rapporto basato sulle testimonianze dei giornalisti presenti agli scontri in cui cerca di chiarire le responsabilità delle parti.

Il resoconto del governo è molto diverso da quanto realmente accaduto: le truppe dell’esercito sparavano alla cieca sulla folla disarmata, spesso in corrispondenza delle zone in cui si trovavano i giornalisti. Le camicie rosse sparavano e lanciavano granate contro le truppe da dietro le barricate. Le indagini condotte dal governo sulla morte dei due giornalisti –  il freelance italiano Fabio Polenghi e il cameraman giapponese Hiro Muramoto – sono incomplete e poco chiare e tutti i tentativi delle famiglie delle vittime e delle organizzazioni umanitarie internazionali di chiarire le dinamiche sono stati ostacolati. Finora, nessuno è stato incriminato. Mentre molte camicie rosse sono state arrestate e rischiano di essere incriminate per terrorismo, tutto fa credere che il governo non processerà nessun membro dell’esercito nonostante le accuse di abusi.

Fabio Polenghi si trovava vicino alle barricate delle camicie rosse quando fu colpito da un proiettile probabilmente sparato da una finestra di un palazzo lì intorno. Il giornalista Bradley Cox che era insieme a lui ha raccontato che cosa accadde.

Cox sentì un dolore improvviso alla gamba, si voltò e si accorse che era stato colpito al ginocchio da un proiettile. Poi si accorse che Polenghi era a terra due o tre metri dietro di lui. Il giornalista italiano indossava un elmetto blu con scritto “Press” e una fascia verde al braccio che indicava che stava lavorando come giornalista. «Pensai che eravamo stati colpiti nello stesso momento, forse addirittura dalla stessa pallottola» spiega Cox, aggiungendo che non ricorda di aver sentito il rumore dello sparo o degli spari che li hanno colpiti «non so chi ha colpito me e Fabio, ma se stavano cercando di colpire le camicie rosse, di sicuro intorno a noi non ce n’erano in quel momento… i soldati sparavano a tutto e tutti».

In uno dei video girati subito dopo gli spari si vede un uomo con un elmetto argentato che si china sul corpo di Polenghi e maneggia la sua macchina fotografica mentre un altro uomo con un elmetto giallo gli scatta una foto. Il primo uomo poi aiuta i soccorritori a mettere il corpo del giornalista sulla motocicletta che poi lo avrebbe portato all’ospedale. Le foto sono state pubblicate sui giornali, ma nessuno dei due uomini è ancora stato identificato. La macchina fotografica di Polenghi non è stata ritrovata. E non c’è chiarezza neanche sul punto preciso in cui il giornalista è stato colpito dalla pallottola.
https://www.youtube.com/watch?v=BhPydgjZ9GI

Nel frattempo il governo ha fatto sapere che per ora revocherà lo stato d’emergenza decretato il 7 aprile solo in sei province, nelle restanti 10 – tra cui Bangkok – resterà in vigore ancora a tempo indeterminato. Lo stato d’emergenza vieta l’assembramento per strada di più di cinque persone per volta, permette alle forze di sicurezza di detenere un sospetto per trenta giorni anche se nei suoi confronti non è stata formalizzata nessuna accusa e censura la maggior parte dei media d’opposizione: una televisione satellitare, 26 radio, 4 quotidiani e 32 siti web.

Le camicie rosse sono contrarie alla leadership di Abhisit Vejjajiva, divenuto primo ministro del paese asiatico nel 2006 con un colpo di stato accettato pacificamente dalla monarchia locale. Reputano l’attuale governo illegittimo e si battono per il ritorno dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, che fu alla guida della Thailandia tra il 2001 e il 2006. Gli scontri si erano intensificati dopo che il governo aveva rifiutato di accogliere la richiesta dei manifestanti di andare ad elezioni anticipate. Gli attivisti hanno scelto di indossare camicie rosse per distinguersi dagli oppositori dell’ex primo ministro, che erano soliti condurre le loro marce di protesta con indumenti gialli.