domenica 12 Ottobre 2025

Yuan non olet

C’è una nazione governata da una dittatura autoritaria, repressiva dei diritti umani e civili, censoria con la libertà d’espressione e persecutrice delle minoranze. Un regime, insomma, di quelli che le nostre società democratiche tratterebbero con sanzioni e con pressioni per ottenere maggiori aperture democratiche. Invece, per ragioni di interesse economico, la Cina viene trattata in Italia – anche da ambienti che si dicono progressisti – come un prezioso interlocutore politico e culturale, come un “paese amico”, le cui condotte antidemocratiche e liberticide vengono del tutto perdonate e ignorate. È ancora più impressionante che questo girarsi dall’altra parte avvenga nell’ambito delle aziende giornalistiche, che delle censure sull’informazione e delle ingerenze della propaganda dovrebbero essere le più preoccupate. Invece per le stesse ragioni – di interesse economico – sempre più spesso agenzie di stampa e testate giornalistiche italiane fanno accordi che garantiscono loro entrate in cambio di aperture nei confronti delle comunicazioni controllate dal regime comunista. Sabato, per esempio, sono state con orgoglio esibite dall’editore del gruppo Class Editori, in un editoriale sul quotidiano ItaliaOggi (parlando di un incontro col ministro Tajani).

“Ha anche avuto interesse a sapere delle nostre (di Class Editori) tre partnership con tre grandi gruppi della comunicazione cinese e cioè Xinhua News, la prima news agency del Paese che in passato si chiamava Agenzia nuova Cina, con cui produciamo un notiziario settimanale per lo sviluppo del business; China media Group, la prima televisione (e non solo) cinese con cui produciamo molti informazione fra cui il programma Cargo che va in onda in Italia su Class Cnbc; e la più recente delle partnership, quella con il Quotidiano del popolo (3 mila giornalisti) con il quale ci scambiamo 4-5 pagine per 12 o più volte nell’anno dedicate alla illustrazione di aziende e attività economiche dei rispettivi paesi”.

Il Quotidiano del Popolo – per esempio – è l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, sistematicamente criticato nelle democrazie occidentali per le sue narrazioni strumentali e inaffidabili, e per partecipare ai tentativi del regime di infiltrare l’informazione internazionale: ovviamente attaccò le manifestazioni di Tienanmen, sostenne che il Covid fosse sopravvalutato e non fosse originario della Cina, nega le persecuzioni degli uiguri, eccetera.

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