domenica 14 Settembre 2025
I modi di dire nei giornali italiani sono duri ad adeguarsi al presente, malgrado l’adeguamento al presente dovrebbe essere un’attitudine del giornalismo: e tra gli esempi più vistosi c’è la abusatissima definizione di “Ohio d’Italia”, attribuita a questa o a quella regione praticamente a ogni elezione, per via di una peculiarità elettorale dell’Ohio che è ormai scomparsa da anni. Lo spiegò il Post l’anno scorso in un articolo, e il suo direttore Francesco Costa sulla rivista del Post “Cose spiegate bene”.
“Il riferimento all’Ohio nasce nei primi anni Duemila, quando nelle elezioni presidenziali statunitensi era considerato il più decisivo e indicativo degli swing state, gli “stati in bilico”, quelli in cui non esiste una chiara e consolidata maggioranza di elettori Repubblicani o Democratici. Per il particolare sistema elettorale degli Stati Uniti, era in quegli stati che spesso si decidevano le elezioni. Da almeno una decina d’anni, però, l’Ohio non è più il più conteso degli stati americani. Non è più nemmeno fra gli swing state, gli stati in bilico, e i suoi elettori sono diventati decisamente conservatori”.
Se torniamo a parlarne, è perché – indifferenti all’attualità – i quotidiani italiani da settimane stanno applicando la definizione alle Marche, stavolta. E il caso di Repubblica di venerdì è doppiamente esemplare, perché ci permette anche di tornare sui virgolettati inventati nei titoli degli articoli: nell’intervista infatti il presidente delle Marche non afferma quel che gli attribuisce il titolo* (“le Marche sono il nostro Ohio”) ma “avrei sentito la pressione pure se non ci avessero definiti l’Ohio d’Italia”.
*non che non l’abbia detto pure lui, in passato.

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