domenica 19 Novembre 2023

Le parole per dirlo

Una sottoquestione puntuale, nelle più estese questioni che riguardano la trasparenza coi lettori sulla riconoscibilità dei contenuti pubblicitari, riguarda le denominazioni da assegnare agli articoli promozionali che somigliano in tutto e per tutto agli articoli giornalistici. Nel Novecento veniva spesso usata la dizione “pubbliredazionale”, già non chiarissima e familiare nel suo significato, per chi leggeva. In questi ultimi decenni si sono ricercate – in Italia e nel resto del mondo – espressioni che chiarissero ai lettori la natura degli articoli pubblicitari senza scontentare troppo gli inserzionisti, che all’equivoco invece tengono molto: poter suggerire che una pubblicità è invece una scelta autonoma della redazione dà a quel contenuto una maggiore autorevolezza (ingannevole).
In diversi casi la questione è oggi del tutto elusa: il più visibile sui quotidiani maggiori è quello delle doppie pagine (in genere nell’ultima parte del giornale) che promuovono a pagamento eventi, mostre, festival, progetti, in una forma grafica del tutto simile a quella delle altre pagine curate dalla redazione (quelle che su Repubblica si chiamano “Le guide”, e sul Corriere della Sera “Eventi”, per esempio). Casi in cui nessuna indicazione è presente sulla peculiare genesi degli articoli.
Altre volte invece le indicazioni ci sono, ma con diversi gradi di chiarezza: la Stampa usa la formula “Speciale…” seguita da un argomento di volta in volta, il Post da anni indica gli articoli di questo genere come ” articoli sponsorizzati “.

Dopo che avevamo raccontato il “decalogo” proposto dalla redazione di Repubblica, un giornalista e lettore di Charlie ha scritto per segnalare di essere poco convinto anche della chiarezza della formula “In collaborazione con” – che a noi sembra già più coerente di altre – e per suggerire idee più esatte:
“Dato che “pubblicità redazionale”, che è pure un’espressione con una sua dignità e necessita di un riconosciuto lavoro giornalistico, non si usa più, non sarebbe il caso di immaginare altre forme e formule più aderenti al reale?”

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