domenica 22 Gennaio 2023

Charlie, il verbo dirigere

Spesso i lettori – tutti noi – sono meravigliati dalle assenze di vigilanza o di semplici giudizi da parte dell’Ordine dei Giornalisti rispetto alla violazione quotidiana delle regole etiche che lo stesso Ordine promuove o che sono nelle sensibilità dei lettori stessi. Ci sono ragioni pratiche (l’Ordine interviene con meccanismi assai farraginosi e mezzi assai poveri), ma è anche discutibile la pretesa che l’Ordine stesso – di cui è spesso discusso il senso stesso dell’esistenza – funzioni da organo repressivo e punitivo più di quanto non sia educativo. Se le violazioni avvengono così di frequente (in quindici giorni è intervenuto su ben due casi maggiori il Garante per la Privacy) c’è qualcosa che non va nel modo in cui vengono condivisi e tramandati principi e responsabilità dell’informazione, che nella cultura redazionale italiana non hanno mai avuto un grande radicamento. Già che esiste e già che è spesso criticato comunque, è un ruolo che potrebbe assumersi l’Ordine stesso senza temere altre accuse. Ma soprattutto è un ruolo per il quale la responsabilità maggiore sta sulle spalle dei direttori, figure tuttora di grande potere nelle strutture dei giornali e nella creazione di modelli di comportamento, malgrado le invadenze degli editori. Le violazioni, i richiami del Garante, le trascuratezze etiche, le promuovono e le avallano o le disincentivano e le impediscono i direttori, più di chi firma gli articoli e viene poi perseguitato sui social network. Danno la direzione.

Fine di questo prologo.

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