Cos’hanno lasciato le Olimpiadi a Torino e nelle sue valli

Una nuova identità per la città fatta di maggiore turismo ed eventi, ma anche voluminosi impianti sulle montagne abbandonati e difficili da riconvertire

di Valerio Clari

I trampolini olimpici di Pragelato, costruiti per Torino 2006 (Foto Il Post)
I trampolini olimpici di Pragelato, costruiti per Torino 2006 (Foto Il Post)

A Cesana Torinese, a 90 chilometri da Torino e a 1.350 metri di altitudine, la fine dell’inverno ha portato discrete nevicate, a fine marzo gli impianti sono funzionanti e le piste innevate. Non in modo uniforme, però: nella zona dove sorge l’inutilizzata pista da bob olimpica, costruita su un pendio della montagna orientato a sud, la neve non c’è più, crescono erba e fiori, al sole le temperature sono primaverili. Sui trampolini olimpici per il salto con gli sci di Pragelato, comune della Val Chisone a 80 chilometri da Torino, invece la neve c’è: sono chiusi da anni, ma i solchi indicano che qualcuno li ha usati, clandestinamente, per una discesa a zig zag.

Quando si discute dell’eredità lasciata dalle Olimpiadi invernali di Torino 2006, ci si muove sempre fra due estremi. Da una parte l’innegabile successo di immagine e di marketing che ha cambiato la percezione della città, passata da centro post-industriale a destinazione turistica, culturale e di eventi. Dall’altra l’impatto a lungo termine di alcune strutture sulle valli alpine, e in particolare dei voluminosi impianti di Cesana e Pragelato, appunto. Inutilizzati da anni ma difficili e costosi da rimuovere, i trampolini per il salto e la pista da bob sono diventati simboli di una gestione e di una programmazione del dopo-le-Olimpiadi non all’altezza. È opinione condivisa che l’Olimpiade abbia avuto effetti positivi per la città di Torino, e meno per i piccoli centri intorno che vennero coinvolti. In realtà la situazione è più complessa e sfumata di così: anche a Torino quasi vent’anni dopo ci sono strutture ancora in cerca di una riconversione definitiva, mentre alcune località montane hanno potuto approfittare di visibilità e investimenti olimpici.

In generale in molti casi è sembrato mancare un piano preventivo, credibile ed efficiente sull’utilizzo degli impianti a Olimpiadi finite. Molti di questi sono stati pensati e progettati per funzionare bene a pieno regime durante le due settimane dei Giochi (cosa che hanno fatto), meno per essere riutilizzati efficientemente dopo, con volumi di utilizzo minori. La questione è tornata d’attualità in questi mesi, in cui stanno iniziando o procedendo i lavori per un’altra Olimpiade invernale italiana, quella di Milano-Cortina nel 2026. Alcune associazioni ambientaliste temono che gli errori di Torino possano essere ripetuti.

L’ingresso della zona olimpica di Cesana Pariol (foto Il Post)

Per le Olimpiadi del 2006 furono costruiti o ristrutturati una decina di impianti, in sette diverse località della provincia di Torino: oltre al capoluogo furono coinvolte Bardonecchia, Cesana, Pragelato, Pinerolo, Sestriere e Sauze d’Oulx. Le sedi delle gare di sci alpino, a Sauze e Cesana, prevedevano strutture meno invasive e che si sarebbero potute poi smantellare; uno degli impianti di Torino, il Padiglione Giovanni Agnelli di Torino Esposizioni, fu pensato come temporaneo; cinque altri impianti sono oggi dismessi o demoliti. Alle sedi delle gare bisogna aggiungere tre villaggi olimpici, per atleti e media, a Torino, Bardonecchia e Sestriere, un paio di strutture polifunzionali e ricettive a Pragelato e Cesana.

A Torino le Olimpiadi portarono anche interventi strutturali sulla città: la creazione della prima linea della metropolitana; l’interramento del passante ferroviario cittadino, che permise la costruzione di una nuova area urbana chiamata Spina Centrale; la pedonalizzazione di piazza San Carlo e di varie zone del centro; il rinnovamento dell’area intorno allo Stadio Olimpico (ex Stadio Comunale, ora utilizzato dal Torino Calcio), oltre a diffusi interventi di restauro e recupero di strutture esistenti.

La città sfruttò la grande visibilità delle settimane olimpiche per proporsi come destinazione turistica sia in Italia che all’estero: si è passati da meno di 600mila arrivi l’anno nel 2002 ai 2,7 milioni del 2023, con un incremento costante iniziato proprio fra il 2005 e il 2007. Negli anni prima e dopo l’Olimpiade la crescita percentuale dei visitatori fu anche superiore nelle località della provincia coinvolte nei Giochi, ma l’aumento poi non si mantenne costante sul lungo periodo. A livello strutturale Torino 2006 ha portato a interventi sui collegamenti stradali e a nuovi impianti di risalita e telecabine per Sestriere, Cesana, Bardonecchia e Sauze d’Oulx. A Oulx ai sistemi di innevamento programmato si aggiunse la creazione di bacini di raccolta dell’acqua a valle e pompaggio in quota (dove viene prodotta la neve artificiale).

Dopo la fine delle Olimpiadi, alcune delle strutture olimpiche diventarono di proprietà pubblica, come l’Oval Lingotto di Torino, che ospitò il pattinaggio di velocità e ora fa parte dell’area fieristica, dove fra l’altro si svolge il Salone del Libro. Altre furono affidate a società private, che continuano a utilizzarle: è il caso ad esempio dei palazzi del ghiaccio di Pinerolo e di corso Tazzoli a Torino. Per gestire un gruppo consistente di strutture fu invece creata la Fondazione 20 Marzo 2006, in cui entrarono Regione Piemonte, Comune di Torino e Città Metropolitana, oltre al CONI, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Nel 2009 venne indetta una gara d’appalto per la gestione trentennale di quel gruppo di strutture: la vinse la multinazionale statunitense LIVE Nation Entertainment, la maggiore società al mondo nell’organizzazione di concerti ed eventi. Fu creata quindi una società specifica, la Parcolimpico Srl, di cui LIVE Nation possedeva il 70 per cento delle quote (salite in seguito al 90 per cento), mentre la parte restante era della Fondazione 20 Marzo 2006.

Gli impianti maggiori ed economicamente più interessanti di questo lotto erano i due palasport torinesi, il palazzetto Olimpico (noto anche come PalaIsozaki, dal nome dell’architetto che lo progettò, e oggi chiamato Inalpi Arena) e il Palavela. Ma ne facevano parte anche una porzione del villaggio olimpico di Torino, la pista da bob e quella da biathlon di Cesana, lo stadio del salto di Pragelato, l’half pipe (una specialità dello snowboard) di Bardonecchia, e tre strutture ricettive poi riconvertite a hotel a Cesana, Bardonecchia e Pragelato.

La gestione trentennale di Parcolimpico, che scadrà nel 2039, prevede lo sfruttamento commerciale delle strutture, con obblighi diversi a seconda del tipo: per gli impianti in quota l’obbligo di utilizzo è parziale e solamente estivo. Non è previsto un canone da corrispondere agli enti pubblici, che attraverso la Fondazione partecipano alla divisione degli utili in base alla quota che possiedono della società (10 per cento). Fatta eccezione per la correzione di eventuali difetti strutturali, manutenzione e ammodernamenti delle strutture sono a carico di Parcolimpico, che ha un’importante autonomia nella gestione.

Pragelato e i trampolini (foto il Post)

Daniele Donati è il direttore generale di Parcolimpico, società che ha chiuso il bilancio 2022 con circa 500mila euro di utili e ha una ventina di dipendenti fissi. «La questione principale è che tutti questi impianti, ma anche gli hotel, sono stati concepiti per durare due settimane, prevedevano un’accensione totale e uno spegnimento totale» dice Donati. «Parlo di luci, riscaldamento, di tutto. Chi li gestisce in seguito ha invece bisogno di poterli utilizzare anche parzialmente, per un concerto da 15mila persone, ma anche per una cena aziendale per 200. Il post-Olimpiade si costruisce in fase di preparazione, immaginando di rendere tutto flessibile: la flessibilità è sintomo di durata».

Dopo lavori di ammodernamento l’Inalpi Arena è riuscita a diventarlo, flessibile. La sua è probabilmente la storia di maggior successo della riconversione olimpica: la collaborazione con LIVE Nation negli anni ha portato a Torino concerti di artisti popolari, ma soprattutto struttura e dimensioni (oltre 15.500 posti) la rendono appetibile e con poche rivali in Italia per i grandi eventi sportivi al chiuso. Dal 2021 fino al 2025 si sono giocate e giocheranno lì le ATP Finals di tennis, uno degli eventi più importanti dell’anno. Nel 2023 l’Inalpi Arena è stata sede delle finali della Champions League di pallavolo, negli ultimi due anni delle Final Eight di Coppa Italia di basket maschile.

Quando nel 2022 toccò all’Italia ospitare l’Eurovision Song Contest, la scelta andò su Torino anche per la struttura dove si sarebbero svolte le serate, allora chiamata PalaAlpitour: sono eventi che creano un notevole indotto e contribuiscono a creare l’immagine delle città come destinazione appetibile. Nel 2023 l’Inalpi Arena ha ospitato oltre 50 eventi, anche ravvicinati, passando da convention aziendali a concerti anche a un giorno di distanza.

L’Eurovision Song Contest del 2022. (AP Photo/Luca Bruno)

Il successo dell’Inalpi Arena ha in parte oscurato l’altro palasport, il Palavela, che negli ultimi anni si sta specializzando come sede di eventi legati al pattinaggio su ghiaccio. È uno sport che ha una base solida di praticanti e appassionati, sufficiente per renderne l’utilizzo economicamente sostenibile, al contrario di quanto succede con altre discipline come bob, slittino e skeleton.

Vanda Bonardo è stata presidente di Legambiente Piemonte-Valle d’Aosta per 16 anni e ha seguito la fase di preparazione dei siti di Torino 2006. A proposito della pista da bob, racconta che doveva inizialmente essere a Sauze d’Oulx, poi nella zona scelta venne trovato dell’amianto in grandi quantità e quindi fu spostata frettolosamente a Cesana Pariol: «Forse anche per questo scelsero un pendio orientato a sud, non ottimale per una pista da ghiaccio» dice. «Noi e altre associazioni ambientaliste suggerimmo di utilizzare gli impianti esistenti a Val-d’Isère, in Francia, ma ci assicurarono che sarebbe diventato un centro importantissimo, attivo tutto l’anno. Allora c’erano una dozzina di praticanti in Italia di questi sport, ora siamo a meno di una cinquantina. È finita come temevamo».

La pista da bob nel 2006 (AP Photo/Kevin Frayer, File)

Diciannove curve, oltre un chilometro di lunghezza su un dislivello di 144 metri, la pista di Cesana è una struttura imponente, oggi circondata da una rete e chiusa al pubblico dal 2011. Costò 110 milioni e fu utilizzata per una ventina di eventi per meno di sei anni: nel 2012 vennero svuotate le 50 tonnellate di ammoniaca necessarie per la refrigerazione e rimane utilizzabile solo il “pistino” di spinta, al coperto. La pista aveva costi di gestione da 1-1,5 milioni di euro l’anno, fu oggetto di furti (rame, principalmente) e ora è di fatto un grosso rudere nella vallata.

Dice Donati, il direttore generale di Parcolimpico: «Anche il bacino mondiale dei praticanti di questi sport è minimo e non permetterebbe una sostenibilità economica. Impianti come questo, o come quello del salto, diventano obsoleti nel giro di due edizioni delle Olimpiadi, andrebbe programmato uno smantellamento entro dieci anni, mettendo da parte i soldi necessari. Ma credo che non verrà fatto nemmeno per Milano-Cortina».

La pista di Cesana (foto il Post)

La pista di Cesana è stata al centro di discussioni anche per la prossima edizione delle Olimpiadi: riattivarla sarebbe costato 30-35 milioni di euro, un’alternativa sicuramente meno costosa rispetto a costruirne una nuova a Cortina. Si è deciso invece per questa seconda opzione. A Cesana la riconversione è ancora una questione aperta, a gennaio 2023 l’amministrazione comunale del sindaco Roberto Vaglio propose un progetto per smantellare la pista e sostituirla con uno Ski Dome di 870 metri, una pista coperta sul modello di quella di Dubai, dove si sarebbe potuto sciare tutto l’anno. Le associazioni ambientaliste – e non solo – espressero dubbi e critiche sui costi e sulla sostenibilità energetica del progetto, che da allora è rimasto fermo.

Lo stadio del biathlon, nella vicina frazione di Sansicario, venne smantellato nel 2016 dopo anni di inutilizzo, così come quello del freestyle a Sauze: al suo posto è stato costruito un centro sportivo con campi da tennis, padel, campo pratica di golf e piscina. L’Olympic Centre è utilizzato come hotel e centro estivo.

Le spese per le riconversioni e per gli smantellamenti sono stati per lo più coperte dal cosiddetto “tesoretto olimpico”. La legge 65 del 2012 prevede infatti che i fondi residui delle opere dei Giochi di Torino 2006 debbano essere destinati alla riqualificazione e manutenzione delle strutture e degli impianti: in pratica sono soldi stanziati per l’organizzazione delle Olimpiadi e non utilizzati completamente. Più di dieci anni dopo l’approvazione della legge parte del “tesoretto” esiste ancora: la procedura per l’approvazione dei progetti è però complessa e prevede il coinvolgimento non solo della Fondazione, ma anche di tutti gli enti locali, fino alla Regione.

In alcuni casi, poi, lo smantellamento sarebbe particolarmente costoso, come per i trampolini per il salto di Pragelato: sono cinque, due da gara utilizzati saltuariamente fino al 2013 e tre da allenamento, più piccoli, che sono stati utilizzati per qualche anno in più per gli allenamenti sui salti dei discesisti di sci alpino di alto livello. Ben visibili dalla strada e da vari punti del comune, resteranno lì almeno per alcuni anni, visto che rimuoverli costerebbe una decina di milioni di euro.

Mauro Maurino, vicesindaco di Pragelato, dice: «Fino a 7-8 anni fa non si è pensato di toccarli perché c’era in ballo l’assegnazione delle Olimpiadi del 2026. Quando sono andate a Cortina, senza Torino, sono cambiate le prospettive». Per un certo periodo infatti si parlò di una candidatura italiana unitaria che avrebbe coinvolto anche Torino, oltre a Milano e Cortina. Le gare di salto nel 2026 si svolgeranno a Predazzo, in provincia di Trento, dove le strutture già ci sono e verranno rinnovate, e dove sono più numerosi anche i praticanti. Continua Maurino: «Non c’è chiaramente spazio per due impianti di salto in Italia, quando la nostra amministrazione si è insediata, cinque anni fa, il tema del dopo le Olimpiadi qui era centrale. Sui trampolini una soluzione non c’è, ma abbiamo elaborato un progetto almeno per recuperare l’area intorno in modo sostenibile».

Torino ospiterà nel 2025 la 32esima edizione dei Giochi mondiali universitari invernali, Pragelato sarà la sede delle gare di biathlon, sci di fondo e sci orientamento. Utilizzando questo appuntamento, l’area sotto i trampolini sarà riconvertita per realizzare un impianto per il biathlon e per lo skiroll, la disciplina più simile al fondo ma senza neve: si usano ruote su telaio per andare su asfalto aiutandosi con un paio di bastoni da fondo. I lavori costeranno 9 milioni circa e saranno finanziati in parte dalla Regione in parte con i fondi della legge 65.

Dice Maurino: «L’idea è che quando c’è neve si usi la pista per fondo e biathlon, altrimenti skiroll. Non ci sarà illuminazione artificiale, basterà un soffiatore per spazzare vie le foglie per mantenerla». Si parla di un centro federale FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) stabile e sono in fase avanzata trattative con Parcolimpico per inserire nel progetto l’hotel Ski Jumping, ora chiuso, e farlo diventare la foresteria degli atleti.

Un rendering del nuovo stadio del biathlon (Comune di Pragelato)

I villaggi olimpici di Bardonecchia e Sestriere sono stati riconvertiti in alberghi, e sono al momento attivi, mentre la gestione del villaggio olimpico torinese è stata più complessa. Costruito nell’area dell’ex Mercato ortofrutticolo all’ingrosso e per questo noto come ex-MOI, occupava 90mila metri quadrati, di cui circa la metà destinati a 750 appartamenti e gli altri per uffici e servizi. Finite le Olimpiadi, l’area venne divisa in diversi lotti: alcune palazzine finirono in vendita, altre furono cedute al comune di Torino, la parte commerciale rimase alla fondazione. Questa parte è un complesso molto esteso definito “le Arcate” dalla forma degli edifici, che hanno ampi portici a forma di arco.

Per anni dell’ex-MOI si parlò molto in città: le aree residenziali dal 2013 furono occupate da migranti e richiedenti asilo, con alcuni episodi di violenza e di piccola criminalità. Nel 2017 cominciò lo sgombero degli allora 1.300 occupanti, durato tre anni con ricollocamento: oggi l’area residenziale è stata riqualificata e ospita residenze universitarie e strutture di social housing (affitti a prezzi calmierati).

Il villaggio olimpico di Torino oggi (foto il Post)

Le Arcate sono invece inutilizzate e abbandonate dal 2019, quando fu organizzata lì la fiera di arte Paratissima: è un’area di 18mila metri quadrati, in parte di proprietà del comune, in parte in gestione a privati (Parcolimpico). Diversi progetti per recuperarlo non si sono concretizzati, dall’idea di farne un polo universitario tecnologico-scientifico a un “parco della salute”. Ora è abbandonato.

L’accesso alla passerella e all’arco olimpico di Torino 2006 dalle Arcate ex MOI (foto Il Post)

Per anni venne vandalizzato, finché non è stato fatto un cosiddetto “azzeramento” dell’area, cioè tutti i padiglioni sono stati svuotati dell’impiantistica di base e dei collegamenti elettrici e idraulici. Sotto l’arco olimpico, uno dei simboli dei Giochi, rimangono le strutture in cemento con gli archi, qualche scritta scolorita Passion lives here (“La passione vive qui”, slogan dell’olimpiade torinese) e poco altro.