Cosa vuol dire “petulante”

Lo è chi ripete continuamente la stessa cosa al suo interlocutore finché non ottiene ciò che vuole

di Massimo Arcangeli

Chi è petulante, per raggiungere un determinato scopo, chiede spesso qualcosa ripetutamente: se vuole riuscire nell’impresa, e magari ottenere dall’interlocutore tutte le informazioni di cui ha bisogno, non deve demordere. Fra le voci il cui significato è prossimo a quello di petulante ci sono dunque senz’altro fastidioso o insistente, anche se una persona petulante ci può apparire pure importuna, indelicata, indiscreta. Termini un po’ più intensi di petulante sono pesante o invadente, e ancora più forti sono pretenzioso o presuntuoso, irrispettoso o impertinente.

L’origine della nostra parola è il latino petulans, sinonimo di insolente, impudente, sfacciato, temerario; alcuni dizionari italiani ne fanno dei possibili sostituti anche del termine italiano, ma un discorso, un comportamento, un atteggiamento petulante, più che la sfrontatezza di una persona, suggeriscono attualmente altro: dicono, di quella persona, che è noiosa o molesta. Petulans si fa risalire a un infinito non documentato (*petulare) la cui radice è la stessa di petere. Quest’ultimo, nell’antica lingua di Roma, significò in genere “chiedere per ottenere” – e dunque pretendere, reclamare, rivendicare, esigere –, sebbene potesse comprendere un numero cospicuo di significati secondari: “pregare”, “scongiurare”, “chiedere in moglie”, ecc. L’ultimo significato indicato era anche compreso fra quelli di poscere, che ne espresse, fra i più rilevanti, altri tre: 1) “chiedere, domandare”; 2) “reclamare, pretendere”; 3) “supplicare, implorare”. Per il secondo il latino disponeva altresì di reposcere; per il terzo poté ricorrere a exposcere.

Petere si distingueva ancora dai seguenti verbi: quaerere (perlopiù “chiedere per sapere”, e perciò “domandare” o “informarsi”); rogare (“chiedere”, “domandare”, “interrogare”, “richiedere”, ma anche “pregare” o “supplicare”), interrogare (“interrogare”, “domandare”, oppure sottoporre a interrogatorio: interrogare testem “interrogare un testimone”); orare (perlopiù “chiedere pregando”, anche in modo supplichevole, e dunque “pregare” o “implorare”).

Un altro vocabolo latino per dire sfrontato, oltre a petulans, era procax. Il significato di “sfrontato” sarebbe stato ereditato nell’italiano dei primi secoli da procace, con cui oggi facciamo invece esclusivo riferimento, nell’uso corrente, a persone o cose (forme, pose, sguardi, voci, carezze…) sensuali o eccitanti; e il latino lascivus, a ulteriore arricchimento del quadro, significò sia “libidinoso, licenzioso, lascivo” sia “insolente, presuntuoso, arrogante”. Il passaggio dalla sfera semantica della sfacciataggine a quella della seduzione erotica è presto spiegato. Siamo di fronte, in tutti e due i casi, a una provocazione: provoca, con i suoi modi, sia chi si comporta con sfrontatezza sia chi è fonte di eccitazione; un impudico o uno spudorato sono ambedue persone senza pudore, anche se per ragioni diverse, e lo stesso pudore può rinviare al riserbo, al contegno in materia di sesso oppure al ritegno, alla discrezione in fatto di generiche modalità del comportamento.

Una “prominenza” dell’agire, valida per spudorati come per impudichi, che riscontriamo in un vecchio, scherzoso significato letterario di petulante, accolto in quest’esempio verghiano (dove la parola, per l’appunto, vale prominente):

Entrava in quel punto il notaro Neri, piccolo, calvo, rotondo, una vera trottola, col ventre petulante, la risata chiassosa, la parlantina che scappava stridendo a guisa di una carrucola (Mastro-don Gesualdo).

Ma c’è un altro particolare interessante. Procax deriva da procari, “domandare, esigere”, e questo verbo ha origine da procus, che era il pretendente alla mano di una donna. Il rapporto fra esigere (o chiedere) e sedurre (o erotizzare), nel momento in cui viene chiamata in causa l’eventualità di convolare a nozze, finisce inevitabilmente per rafforzarsi: se pretendo qualcosa da qualcuno, e questo qualcuno è una donna, può darsi che le mie pretese siano di carattere matrimoniale o amoroso e debbano mettere in conto, per ciò stesso, l’arte di corteggiare o di sedurre.

Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni.
Il nuovo libro di Massimo Arcangeli, “La solitudine del punto esclamativo“, è uscito il primo giugno per il Saggiatore.