Una sindaca normale

Cosa è successo a Torino durante i primi sei mesi di Chiara Appendino

(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

Lo scorso 8 aprile, al termine del suo spettacolo a Torino, Beppe Grillo ha chiesto ad alcuni politici locali del Movimento 5 Stelle di mangiare dei grilli essiccati. Li ha fatti alzare dai loro posti in prima fila e poi, ripetendo a ognuno di loro «questo è il mio corpo», li ha imboccati, prendendo gli animali da una piccola ciotola. Quando è arrivato davanti all’allora candidata sindaca di Torino, Chiara Appendino, lei si è ritratta e ha risposto: «Non posso, allatto». Molti commentatori hanno interpretato quel gesto come l’ennesima conferma che Chiara Appendino fosse una “grillina anomala”, cioè una politica del Movimento 5 Stelle lontana dallo stereotipo del fedele esecutore senza autonomia. Per una volta il cliché giornalistico si è rivelato corretto: i primi sei mesi di Chiara Appendino da sindaca di Torino indicano che è effettivamente una grillina anomala.

Due mesi dopo lo spettacolo di Torino, il Movimento 5 Stelle ha ottenuto le due vittorie più importanti della sua storia politica: ha vinto a Roma, come ampiamente previsto, e a sorpresa anche a Torino, una città che da più di 20 anni era controllata dal centrosinistra. Da allora le storie di Roma e Torino hanno preso strade diverse. Da mesi la giunta romana è paralizzata da dimissioni, divisioni e inchieste giudiziarie, e l’intero Movimento ha risentito degli insoddisfacenti risultati della sindaca Virginia Raggi. A Torino le cose sembrano andare in maniera diversa: «Nessuna rivoluzione e basso profilo», ha sintetizzato in un lungo articolo sull’Huffington Post Carla Piro Mander, giornalista ed ex collaboratrice di Piero Fassino, l’ex sindaco battuto da Appendino. Sei mesi sono pochi per giudicare una giunta, ma finora Chiara Appendino ha dimostrato di essere, se non altro, una sindaca normale.

Per esempio, Appendino ha presentato la giunta addirittura prima del ballottaggio e senza le difficoltà e le incertezze incontrate da Raggi, che è riuscita a comunicare una lista di nomi soltanto un mese dopo la vittoria, per poi cominciare subito a smontarla e rimontarla. Anche Appendino ha dovuto scegliere personaggi con esperienze in altre amministrazioni e altri partiti, come Raggi a Roma: è necessità per il Movimento 5 Stelle, che spesso non dispone di persone con esperienza e competenze di alto livello tra i suoi sostenitori. Il suo assessore al Bilancio, Sergio Rolando, ha lavorato in passato con diverse amministrazioni di centrosinistra e centrodestra; la sua assessora alla Cultura, Francesca Leon, è apprezzata sia dal PD che dal centrodestra; il suo capo di gabinetto, Paolo Giordana, è un ex AN poi avvicinatosi al PD. Ma a differenza di Roma, nella giunta torinese non ci sono state dimissioni o scontri rilevanti, né tra gli assessori né tra i principali dirigenti comunali.

Appendino ha dimostrato di saper collaborare con gli avversari politici: soprattutto con Sergio Chiamparino, ex apprezzato sindaco di Torino e presidente della regione del PD (i due vanno così d’accordo che in città circola un nomignolo abbastanza volgare che mette insieme i loro cognomi). La loro capacità di agire insieme nell’interesse di Torino si è vista in particolare nel caso del Salone del Libro, l’importante manifestazione culturale che da 30 anni si svolge in città, anche se alla fine la loro trattativa è fallita. Da tempo l’Associazione italiana editori (AIE) progettava di spostare la manifestazione a Milano; Chiamparino e Appendino hanno cercato di trattare con gli editori insieme al governo. Appendino è riuscita a ridurre l’affitto per lo spazio dove si tiene la manifestazione, il Lingotto, ma non è bastato. L’AIE smetterà di organizzare la sua manifestazione a Torino e la farà a Milano, con un altro nome: il Salone del Libro invece si continuerà a tenere a Torino – è organizzato da una fondazione costituita da comune, provincia e regione Piemonte – ma c’è il rischio che perda centralità e diventi un evento meno importante di quello di Milano.

I grandi eventi culturali sono stati uno dei principali temi di dibattito in questi primi sei mesi di governo. Trasformare la città in una delle capitali della cultura italiana era un pallino delle amministrazioni precedenti, che pensavano fosse un modo per attrarre visitatori e quindi anche una soluzione alla de-industrializzazione di Torino negli ultimi anni. Nel 2015 sette milioni di persone hanno visitato Torino, che è diventata la quinta città italiana per numero di turisti (nel corso del 2016 la città ha subito un calo di prenotazioni ed è scesa al sesto posto tra le mete più visitate).

Appendino non è mai stata davvero convinta da questo piano e nella campagna elettorale ha sottolineato il suo interesse per le periferie da recuperare, più che per le grandi mostre internazionali. In un video pubblicato sulla sua pagina Facebook il giorno prima delle elezioni, ha mostrato dei cartelli in cui contrapponeva le file per entrare ai musei alle code di fronte alle mense per i poveri. Da sindaco ha cancellato il Torino Jazz Festival, spiegando che a suo avviso era un evento costoso che generava ritorni piuttosto dubbi.

Una questione più complessa è quella della mostra del pittore impressionista francese Eduard Manet, che avrebbe dovuto tenersi in città nell’autunno del 2017 e sarebbe la terza di una serie di esposizioni sugli impressionisti negli ultimi anni. Non è chiaro al momento se la mostra si terrà o no. Appendino ha detto: «Non ho mai detto di essere contraria ai grandi eventi a priori, ma ho sempre detto che quando si tratta di investire risorse pubbliche in un grande evento occorre verificare le ricadute economiche».

Appendino è stata coerente con la posizione del Movimento 5 Stelle sulla TAV, la linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino con Lione, da sempre osteggiata dal suo partito. Ha ritirato la delegazione cittadina dall’Osservatorio sulla TAV e ha nominato presidente del Consiglio comunale un attivista contrario alla linea ferroviaria. La sua campagna elettorale ha insistito molto sulle periferie e i cittadini emarginati; i quartieri dove ha ottenuto più voti sono proprio quelli più popolari e più duramente colpiti dalla de-industrializzazione, che in passato votavano in blocco per la sinistra tradizionale. Appendino ha preso posizioni progressiste su una serie di temi su cui il resto del Movimento appare piuttosto tiepido. Lo scorso luglio ha partecipato al Gay Pride (Raggi non aveva partecipato a quello che si era tenuto poche settimane prima a Roma) e ha nominato un assessore alle “Famiglie” invece che alle “Pari opportunità”, attirandosi le critiche della destra, che ritiene “famiglie” un riferimento inaccettabile all’esistenza di unioni tra persone dello stesso sesso.

Appendino non ha firmato il controverso contratto con la Casaleggio Associati che secondo alcuni renderebbe illegittimi i consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle a Roma, compresa la sindaca. A proposito dei suoi rapporti con i leader del Movimento, Appendino ha detto al giornalista Marco Imarisio del Corriere della Sera: «Con Beppe Grillo e Davide Casaleggio ci confrontiamo spesso, ma non sulle politiche locali. Sono due persone che stimo, con le quali parlo anche di Torino. Ma poi c’è una giunta che delibera, un Consiglio comunale che vota, un sindaco che fa le ordinanze. Come è giusto che sia». Una dichiarazione molto lontana da quelle di Virginia Raggi, che al giornalista dell’Espresso Alessandro Gilioli disse invece che si sarebbe dimessa se Grillo glielo avesse chiesto.

Secondo Alberto Morano, ex candidato sindaco della Lega Nord e ora consigliere comunale di opposizione a Torino, queste differenze non implicano che la città sia stata governata meglio rispetto a Roma: «Gli ultimi sei mesi sono stati un correre dietro alle emergenze senza un piano di lungo termine che non fosse quello della decrescita felice». A questo, secondo Morano, si aggiunge che Torino è il comune con il debito più alto d’Italia e quindi «la situazione da alcuni punti di vista è peggio che a Roma». Un’altra cosa di cui si è parlato molto è la manifestazione organizzata per rimuovere manualmente un’alga infestante dalle rive del Po. L’operazione è risultata abbastanza goffa e secondo alcuni aveva peggiorato la situazione, aiutando l’alga a diffondersi; l’intervento però era stato suggerito dall’istituto regionale per le Piante da Legno e l’Ambiente, che in un successivo comunicato aveva definito l’intervento opportuno e propedeutico alla definitiva eliminazione delle alghe.

Nelle stesse settimane Appendino ha detto che c’è un buco da 70 milioni di euro nei bilanci del comune. A dicembre una commissione di indagine promossa da Appendino ha terminato il suo lavoro: la sindaca ha parlato dei risultati dell’indagine alla stampa e ha detto che il rapporto sarebbe stato consegnato alla procura e alla Corte dei Conti. Il documento, però, non è disponibile sul sito del comune (lo trovate qui). Nelle loro conclusioni i tecnici parlano effettivamente di alcune decine di milioni di euro di debiti fuori bilancio che il comune ha contratto con le sue partecipate, ma aggiungono che questi debiti non presentano “criticità significative”. Sono vecchi contratti e mutui che non sono responsabilità della passata amministrazione, e che nel futuro saranno con ogni probabilità rinegoziati senza particolari conseguenze per le casse comunali.

Altri guai di Appendino riguardano alcune defezioni interne al suo partito: in particolare quella di Vittorio Bertola, ex capogruppo del Movimento in Consiglio comunale che accusa la sindaca di aver tradito il suo programma. Appendino ha effettivamente autorizzato un nuovo piano regolatore che prevede la costruzione di una serie di centri commerciali a cui si era opposta da consigliera comunale e durante la campagna elettorale. Appendino ha spiegato la sua decisione con le necessità economiche del comune. Le autorizzazioni hanno permesso di raccogliere circa 19 milioni di euro.

Secondo Morano, «Appendino si è scontrata con la realtà di quanto è complesso amministrare una città e quanto questo sia diverso dal fare propaganda», ma è vero che «amministrare quando non ci sono soldi è difficile». Con il debito più alto di Italia e margini di manovra molto ristretti, il futuro del comune di Torino è incerto, ma tra errori e difficoltà i primi sei mesi di Chiara Appendino non sono sembrati molto diversi da quelli di altre amministrazioni che in passato si sono trovate a gestire situazioni complesse. Le dimensioni tutto sommato contenute della città, un personale tecnico competente e rimasto invariato nel corso degli anni, rapporti civili con la regione e le qualità personali della sindaca, sembrano, almeno per il momento, aver dato a Torino sorti e prospettive diverse da quelle di Roma.