La crisi dei trasporti navali

Il fallimento di una società coreana – che ha lasciato 66 navi alla deriva – è solo uno dei segnali della grave situazione in cui si trova il settore

(AP Photo/Nick Ut)
(AP Photo/Nick Ut)

Fuori dai porti di mezzo mondo ci sono 66 navi da trasporto alla deriva con a bordo 13 miliardi di euro di merci. Appartengono alla Hanjin Shipping, una società coreana che ha dichiarato bancarotta lo scorso 31 agosto. Le autorità dei porti verso cui le navi erano dirette hanno bloccato loro l’accesso, nel timore di non essere pagate per i servizi che offrono. Oggi le navi si trovano in mare aperto e stanno finendo carburante e cibo. La scorsa settimana il governo coreano ha fornito un prestito alla società, così da permettere alla navi di riuscire almeno ad attraccare.

Come racconta l’Economist, la Hanjin non è la sola compagnia di trasporto marittimo a trovarsi in grossa difficoltà. Il leader del settore, la Maersk Line, la più importante società del conglomerato danese A.P. Moller-Maersk, ha detto di aver perso circa cento milioni di euro nei primi sei mesi dell’anno. Il settimanale scrive che la compagnia danese ha perso circa dieci euro per ogni container mosso quest’anno, un dato preoccupante ma ancora lontano da quello della Hanjin, che ne ha persi cento per ogni container.

Ma è tutto il trasporto marittimo ad essere in crisi: undici delle dodici più grandi società del settore che hanno pubblicato i loro bilanci del secondo trimestre del 2016 hanno gravi perdite. Secondo le stime degli analisti, entro la fine del 2016 il settore potrebbe perdere 9 dei 150 miliardi di euro che fattura ogni anno. Secondo l’Economist, due ragioni spiegano questa crisi.

La prima è la difficoltà incontrata negli ultimi anni dal commercio internazionale, colpito dalla debole crescita economica di molti paesi, dal rallentamento nelle liberalizzazioni commerciali e dal fatto che sempre più industrie stanno iniziando a produrre nei paesi dove i loro beni saranno venduti, piuttosto che produrli in patria e spedirli una volta ultimati. Il risultato è che nel 2015, per la prima volta in più di 60 anni, il PIL del mondo è cresciuto più rapidamente del trasporto marittimo.

La seconda ragione è l’aumento delle capacità di trasporto delle flotte mercantili. Dopo il 2011, scrive l’Economist, le compagnie di trasporto hanno varato un gran numero di nuove navi, ma avere maggiore capacità di trasporto – a parità di quantità di merci da trasportare – significa produrre un crollo nelle tariffe. Oggi, per esempio, spedire un container da Shanghai all’Europa costa la metà di quanto costava nel 2014. Questo crollo ha inciso significativamente sui bilanci delle compagnie di navigazione.

La soluzione più semplice sarebbe ritirare le navi in eccesso. È difficile però che le compagnie di navigazione decidano di demolire navi che è costato milioni di dollari costruire. Un’altra possibile soluzione è cercare di ottimizzare le attività di spedizione e utilizzare le nuove tecnologie per cercare di risparmiare sui costi e tornare a produrre utili.

Maersk, il leader del settore, è la compagnia verso cui tutti stanno guardando in questi mesi, scrive l’Economist. Di recente la società ha deciso di dividere le sue attività di gestione dei porti da quelle di spedizioni vere e proprie, ma sta anche mettendo in atto una serie di iniziative più originali. L’industria navale, racconta l’Economist, è rimasta per esempio molto indietro sul fronte della digitalizzazione. Se un aereo produce diversi terabyte di dati ogni giorno, una grande nave portacontainer impiega una settimana a produrne uno soltanto. Anche alle navi più moderne spesso mancano sensori elementari, come quelli che segnalano se tutte le botole e gli oblò della nave sono chiusi prima di partire.

Una delle iniziative di Maersk è proprio riempire le sue navi di nuovi sensori. L’idea è inviare al porto moltissimi dati ancora prima dell’attracco, in modo che le autorità portuali siano già pronte a fornire alla nave ciò che gli serve, così da permettere alla nave di ripartire più in fretta, con un beneficio sia per il porto che per la compagnia proprietaria della nave. Da tre anni la società utilizza anche un team di analisi per studiare le rotte migliori e le velocità più adatte per risparmiare carburante. Maersk in passato ha sempre fatto da apripista per le novità del settore. Come ha raccontato all’Economist un dirigente di una società concorrente: «Di solito vediamo quello che fa Maersk e lo copiamo». Digitalizzare e ottimizzare, però, scrive l’Economist, potrebbe non salvare il settore se contemporaneamente non sarà ridotto il numero delle navi in circolazione: aiuterà ad affrontare la prossima crisi, ma potrebbe «non essere sufficiente a risolvere quella in corso».