In Cina la censura di Internet va benone

Negli anni è diventata un sistema sofisticato e selettivo, volutamente poroso, e il suo primo obiettivo non è impedire l'accesso ai siti stranieri

di Simon Denyer – The Washington Post

(FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)
(FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images)

Prima c’era il muro di Berlino e ora c’è il “Grande firewall cinese”: non è una barriera fisica che impedisce alle persone di andarsene, ma un muro virtuale, che fa sì che le informazioni dannose per il Partito Comunista cinese non entrino nel paese. Come il muro di Berlino, anche questa barriera è destinata a cadere prima o poi: le informazioni, come le persone, non possono essere trattenute per sempre. O perlomeno questo è quello che si dice. Farlo capire al governo di Pechino, però, non è così semplice: la Cina è ben lontana dall’eliminare il più grande sistema di censura al mondo e, anzi, sta andando sempre più fiduciosa nella direzione opposta, rafforzando le basi legali del firewall, tappando le sue falle e rinsaldando il suo controllo su Internet.

Insomma, la Cina ha smesso di avere un atteggiamento difensivo nei confronti del suo vasto sistema di censura, e ha iniziato a sbandierare la sua visione di una «sovranità di Internet» come modello mondiale, cercando allo stesso tempo di renderlo ufficiale.

Una canzone per la promozione della censura su Internet durante un talent show organizzato dall’Associazione di Internet di Pechino (Youku/Beijing Internet Association)

Internet va molto bene in Cina: ci sono quasi 700 milioni di utenti, il che significa che poco meno di un quarto della popolazione mondiale che naviga in rete è schermata dal “Grande firewall”. La Cina è un leader mondiale nel settore dell’e-commerce: secondo eMarketer, una società che si occupa di ricerche di mercato nel settore digitale, il volume delle vendite online della Cina è il doppio rispetto agli Stati Uniti e rappresenta addirittura il 40 per cento delle vendite online globali. L’anno scorso la Cina aveva quattro aziende tra le prime dieci società di Internet del mondo per capitalizzazione di mercato, secondo il sito Statista. Tra queste ci sono il gigante dell’e-commerce Alibaba, la società di videogiochi e social media Tencent e il motore di ricerca Baidu. «Questa è la strada scelta dalla storia e dal popolo, e noi la percorriamo con sempre più determinazione e pieni di fiducia», ha detto a gennaio Lu Wei, il potente politico responsabile di cybersecurity e Internet in Cina. Dopo aver sviluppato per vent’anni Internet sotto il severo controllo del Partito Comunista, la Cina ha trovato il giusto equilibrio tra «libertà e ordine» e tra «apertura e autonomia», ha detto Lu, aggiungendo che il paese sta andando verso «un’amministrazione cibernetica con caratteristiche cinesi».

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Il Grande firewall, che la Cina chiama “Scudo d’oro”, è un gigantesco sistema di censura e sorveglianza che blocca decine di migliaia di siti giudicati dannosi per la propaganda e il controllo del Partito Comunista, come Facebook, YouTube e Instagram. Ad aprile il governo americano ha classificato ufficialmente il sistema di censura cinese come barriera al commercio, evidenziando il fatto che 8 dei 25 siti più visitati al mondo in Cina sono bloccati.

La Camera di Commercio degli Stati Uniti in Cina sostiene che tra le aziende registrate quattro su cinque hanno detto di aver subìto danni alla propria attività per colpa della censura su Internet. Eppure non c’è modo di tornare indietro. Quest’anno la Cina dovrebbe approvare una nuova legge sulla sicurezza digitale che sarà in grado di codificare, organizzare e rafforzare il suo controllo su Internet; ha già introdotto nuove norme che limitano la pubblicazione di contenuti online da parte delle aziende straniere, e ne ha proposte di più severe per la registrazione dei domini presso il governo. Apple è stata una delle prime vittime: ad aprile ha annunciato che iTunes, iMovies e iBooks non erano più disponibili in Cina, sei mesi dopo averli lanciati sul mercato cinese (ma anche poco dopo aver annunciato un investimento da un miliardo di dollari in Didi, una società cinese di servizi automobilistici). Con i suoi tentativi di repressione contro la libertà di parola e la società civile, la Cina ha aumentato il suo controllo sui gestori di reti private (le cosiddette VPN) che permettono alle persone di aggirare il firewall.

A differenza di quanto temuto inizialmente da alcune persone, questi cambiamenti non sono una mossa per eliminare l’accesso al mondo esterno e creare una specie di intranet cinese, ma piuttosto un tentativo di estendere il controllo legale e la supervisione su quello che viene pubblicato online dentro il paese, secondo gli esperti. Il firewall della Cina non funziona come un semplice interruttore: è molto sofisticato e ha diversi livelli. È un tentativo di superare una delle contraddizioni fondamentali della Cina: avere un’economia di mercato strettamente legata al mondo esterno ma allo stesso tempo una cultura politica isolata da “valori occidentali” come la libertà di parola e la democrazia.

Internet arrivò in Cina nel gennaio del 1996, e nell’agosto dello stesso anno il governo iniziò a bloccare sistematicamente alcuni siti stranieri (il nomignolo “Grande firewall” fu coniato dalla rivista Wired nel 1997). Il sistema attuale iniziò però a essere sviluppato e usato nei primi anni del Duemila. Google fu bloccato per la prima volta per nove giorni nel settembre del 2002, YouTube dopo i disordini in Tibet del 2008 e Facebook e Twitter in seguito agli scontri nello Xinjiang del 2009. Tuttavia il sistema ha sempre avuto delle falle, intenzionalmente. Le reti VPN, per esempio, permettono agli utenti cinesi di accedere a Internet come se si trovassero in un altro paese; grazie a questi strumenti gli utenti possono criptare il loro traffico, aggirare la censura e navigare come se fossero in Italia, anche se a velocità minore. Il governo cinese lo sa, ovviamente, e ha accettato il fatto che una piccola percentuale della sua popolazione aggiri il firewall usando le VPN. Dopotutto, è essenziale che le imprese nazionali e straniere abbiano accesso alle informazioni internazionali, e offrire una piccola finestra sul mondo alle élite che parlano in inglese fa sì che continuino a essere contente. «Il governo cinese è disposto a tollerare una certa porosità nel Grande firewall, purché continui ad avere la sensazione di poter esercitare il controllo su Internet, se volesse», ha detto Jeremy Goldkorn, direttore di Danwei, una società di consulenza nel settore di Internet e dei media.

Uno di questi momenti è stato l’incontro annuale del Parlamento cinese, l’Assemblea nazionale del Popolo, che si è tenuta a marzo, quando i timori per la sicurezza hanno prevalso su qualsiasi altra considerazione, portando a un rallentamento della velocità della navigazione su Internet e a problemi per alcune VPN. «La tecnologia delle VPN è piuttosto semplice», ha detto Nathan Freitas, un importante sviluppatore di software open source progettati per superare la sorveglianza e la censura. «Il Partito Comunista decide dell’esistenza delle VPN a suo piacimento». Il Partito si focalizza di più su quello che legge la gente, rispetto a cosa l’élite globale possa trovare su Internet. In Cina Google è ancora bloccato e i risultati del motore di ricerca locale, Baidu, sono fortemente censurati. La differenza tra i risultati delle ricerche su Baidu fatti in cinese e in inglese per “Tienanmen” o “Tienanmen uomo carro armato” ne sono un chiaro esempio: le ricerche in cinese non fanno rifermento alla proteste in favore della democrazia del 1989, né all’uomo che provò a fermare l’avanzata dei carri armati nella piazza, ma solo ai punti di interesse della grande piazza dal punto di vista turistico. «Secondo le leggi vigenti, alcuni risultati non sono visualizzabili», è la risposta di Baidu agli utenti che ricercano i termini “uomo carro armato”. Le ricerche in inglese invece funzionano diversamente: tra i risultati compaiono diversi siti, tra cui una photogallery della BBC, una pagina di Wikipedia e molte altre fonti occidentali.

Secondo Rogier Creemers, che insegna giurisprudenza e governance all’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, questo è il modo in cui funzionano la maggior parte dei sistemi di censura. Creemers ha ricordato il famoso commento dell’avvocato dell’accusa durante il processo per oscenità contro la casa editrice Penguin Books del 1960 per il romanzo di D.H. Lawrence L’amante di Lady Chatterley. «Vorreste che vostra moglie o i vostri servi leggessero questo libro?», chiese l’avvocato alla giuria. Secondo Creemers, un illustre studioso di questioni legate a Internet in Cina, a Pechino potrebbero farsi domande simili: «Vorreste che i laobaixing [le persone comuni] leggessero questo sito? Forse no, ma di noi ci si può fidare abbastanza da farcelo leggere». La censura, poi, non viene applicata in modo uniforme in tutta la Cina, ha detto Vasyl Diakonov, responsabile della tecnologia della società KeepSolid VPN di Odessa, in Ucraina. Alcuni hub informatici nell’est del paese hanno limitazioni relativamente minori, mentre nelle regioni più remote della Cina occidentale, dove il malcontento etnico è maggiore, quasi tutti i protocolli VPN più conosciuti sono bloccati, ha raccontato Diakonov. Nella turbolenta provincia a maggioranza musulmana dello Xinjiang, usare una VPN per accedere a un sito bloccato rischia di farti finire in una stazione della polizia locale, raccontano i residenti.

A dicembre il governo di Pechino ha pubblicizzato la sua strategia alla seconda edizione dell’annuale World Internet Conference, nella storica città di Wuzhen, nell’est della Cina. Alla conferenza hanno partecipato leader da Russia, Pakistan e molti altri paesi che non occupano esattamente le prime posizioni nelle classifiche globali sulla libertà di Internet. Nonostante non sia riuscita a convincere l’Occidente, con le ultime mosse per legalizzare e sostenere la sua barriera digitale la Cina si sta avvicinando alla realizzazione della “sovranità di Internet”. «Il governo cinese sta cercando di cambiare gradualmente la realtà dei fatti», ha detto Creemers. «Se non riuscirà a ottenere il consenso a livello internazionale sulla sua idea di sovranità di Internet, presenterà alle persone il fatto compiuto». Per Creemers, poi, le rivelazioni di Edward Snowden sulla portata del programma di sorveglianza globale su Internet da parte dei servizi di intelligence americani sono state «una gallina dalle uova d’oro», che ha dimostrato come anche gli altri paesi non seguano le regole e minato qualsiasi pretesa di superiorità morale dell’Occidente.

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Il presidente di Alibaba, Jack Ma Yun, durante la World Internet Conference a Wuzhen, il 18 dicembre 2015 (Imaginechina via AP Images)

Nonostante le aziende occidentali che operano in Cina si lamentino per le limitazioni imposte dal governo a Internet, le ripercussioni sull’economia cinese non sono così evidenti. «Le conseguenze sulla Cina in quella che potremmo definire l’economia creativa saranno considerevoli, come anche per il soft power cinese, ma per quanto riguarda l’economia nel complesso potrebbero non essere decisive», ha detto Lester Ross, responsabile dell’ufficio di Pechino dell’importante studio legale internazionale WilmerHale e membro della Camera di Commercio americana in Cina. In ogni caso, per l’attuale leadership cinese sono gli altri obiettivi importanti – la sicurezza nazionale e il mantenimento del partito al potere – a prevalere sulle preoccupazioni per gli effetti negativi del rigido controllo del governo su Internet, ha detto Ross.

A marzo Google è stato accessibile liberamente per due ore in Cina. La notizia ha generato per breve tempo reazioni entusiastiche sui social media e un appello da parte di una fonte inaspettata. Hu Xijin, il direttore del giornale di stato nazionalista Global Times, ha scritto per l’occasione che il firewall, utile a suo tempo, oggi dovrebbe essere considerato come una misura d’emergenza temporanea. «Non c’è bisogno di continuare a rafforzare il firewall; dovremmo fare in modo che abbia delle falle e che lentamente esista solo come concetto», ha scritto Hu, che si è inaspettatamente trovato d’accordo con Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, che due anni fa aveva detto che il Grande firewall cinese prima o poi sarebbe stato eliminato gradualmente, esattamente come cadde il muro di Berlino. Hu però non era allineato alla posizione ufficiale del governo. Sul sito di microblogging Sina Weibo il suo post è stato cancellato dai censori, e poco dopo il suo giornale ha pubblicato un editoriale che difendeva la barriera e attaccava i media occidentali per il loro odio contro il firewall.

Per tenere lontane le idee dannose senza minare la connettività globale della Cina è necessaria «una capacità sofisticata», ha scritto il giornale. «La Cina ce l’ha fatta: è in grado di comunicare con il mondo esterno mentre le idee occidentali non riescono a penetrare facilmente e a diffondersi come strumenti ideologici». Per Creemers, la previsioni sull’imminente caduta del firewall sono il prodotto di un’errata convinzione che si è diffusa dopo la Guerra Fredda, secondo cui la visione occidentale di libertà e democrazia sarebbe inevitabile e la libera circolazione delle informazioni su Internet avrebbe contribuito all’inizio di una nuova era. «Internet», ha detto Creemers, «è uno strumento di controllo, sorveglianza e sfruttamento commerciale tanto quanto è uno strumento di legittimazione».

© 2016 – The Washington Post