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  • Mercoledì 4 maggio 2016

Trump ha vinto le primarie dei Repubblicani

Ora è sicuro: entrambi i suoi sfidanti si sono ritirati, sfiderà probabilmente Hillary Clinton a novembre

Donald Trump con sua moglie Melania. (Spencer Platt/Getty Images)
Donald Trump con sua moglie Melania. (Spencer Platt/Getty Images)

L’imprenditore statunitense Donald Trump ha sostanzialmente vinto le primarie del Partito Repubblicano e sarà quindi il candidato del principale partito americano di opposizione alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre 2016. La vittoria di Trump non è ancora stata dichiarata formalmente – lo sarà soltanto dopo la convention estiva di Cleveland – ma dopo le primarie di martedì in Indiana entrambi i suoi sfidanti hanno rinunciato: il senatore Ted Cruz ha annunciato la sospensione della sua candidatura, che nella politica americana equivale a ritirarsi (la “sospensione” serve formalmente per continuare a pagare debiti e stipendi, e raccogliere donazioni dai sostenitori); il governatore John Kasich lo farà nella sera di mercoledì.

Trump fin qui alle primarie ha ottenuto 1.007 delegati, gliene servono 1.237 – la maggioranza assoluta – per essere certo della nomination; ce ne sono ancora in palio circa 450, e a questo punto dovrebbe ottenerli quasi tutti lui. Le sorprese sono molto improbabili, per non dire impossibili: al primo scrutinio della convention i delegati sono vincolati a votare il candidato con cui sono stati eletti alle primarie. Il presidente del Partito Repubblicano, Reince Priebus, ha detto che Trump è il “presumptive nominee”, cioè il candidato designato, e presto il partito collaborerà con lui e con il suo staff per organizzare la convention del prossimo luglio a Cleveland, durante la quale diventerà formalmente il candidato in vista delle elezioni presidenziali dell’8 novembre.

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L’Indiana era rimasto uno degli ultimi stati abbastanza grandi e influenti da poter cambiare qualcosa nelle primarie dei Repubblicani, ma Trump ha confermato l’ascesa della sua candidatura e ha vinto con il 53,3 per cento dei voti, ottenendo tutti i 51 delegati in palio grazie al criterio maggioritario con cui sono assegnati. Ted Cruz ha ottenuto il 36 per cento, John Kasich il 7,6 per cento.

Il discorso con cui Ted Cruz ha annunciato il suo ritiro:

Tra i Democratici la partita è considerata chiusa ormai da qualche tempo, anche se ci sono ancora due candidati in campo: in Indiana ha vinto il senatore Bernie Sanders, che ha ottenuto il 52,5 per cento contro il 47,5 di Hillary Clinton, recuperando però appena sei delegati a causa del criterio proporzionale con cui sono distribuiti.

Nel conto generale Sanders rimane molto indietro sia tra i delegati eletti con le primarie che tra i cosiddetti “superdelegati”, cioè i funzionari, dirigenti e parlamentari del partito che alla convention partecipano di diritto votando chi vogliono; ed è in svantaggio anche nel voto popolare – Clinton ha ottenuto tre milioni di voti in più – e nel numero di stati vinti. L’unica speranza per Sanders di vincere la nomination è che un numero consistente di “superdelegati” decida di votare in direzione opposta a quanto indicato dagli elettori del Partito Democratico, e sostenere lui invece che Clinton: l’ipotesi è considerata praticamente impossibile, visto che i “superdelegati” tendono storicamente a seguire le intenzioni del voto popolare.

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In vista delle elezioni di novembre, per il momento i sondaggi e le analisi dicono che Trump è molto sfavorito: la maggioranza dell’elettorato americano ha un’opinione negativa di lui, e soprattutto lo detestano quasi tutte le persone afroamericane o di origini latinoamericane, cioè i due segmenti demografici più in crescita del paese, sempre più influenti in stati importanti come la South Carolina, la Florida, il Nevada, il Colorado, l’Arizona. I sondaggi che cercano di prevedere oggi cosa accadrà a novembre vanno presi però con grandissima cautela: in primo luogo perché basta guardare ai sondaggi di sei mesi fa per capire che manca ancora troppo tempo, in secondo luogo perché si parla di una campagna elettorale – Clinton contro Trump – che di fatto non è ancora cominciata, in terzo luogo perché gli Stati Uniti eleggono il loro presidente stato per stato, mentre i sondaggi ne misurano la popolarità su base nazionale.