• Moda
  • Giovedì 8 ottobre 2015

I fotografi alle sfilate

In cosa consiste il lavoro dei fotografi durante le varie settimane della moda: tante foto, poco tempo e pochissimo spazio

di Enrico Matzeu – @enricomatzeu

Fotografi sul podio, 7 luglio 2015, Berlino (Clemens Bilan/Getty Images for IMG)
Fotografi sul podio, 7 luglio 2015, Berlino (Clemens Bilan/Getty Images for IMG)

Quello del fotografo di sfilate è un lavoro molto stancante, come ha detto il fotografo inglese Frazer Harrison intervistato da Fashionista in occasione dell’ultima New York Fashion Week. Harrison lavora per Getty Images, una delle più grandi agenzie fotografiche al mondo, che serve molte riviste e giornali di moda e non, e ha detto che durante una fashion week può arrivare a lavorare fino a dodici ore al giorno. Quest’anno, per la settimana della moda di New York, Harrison aveva in calendario una quarantina di sfilate da seguire, ma ha detto che in passato è arrivato a coprirne anche 65.

Oggi nel settore c’è molta competizione e il lavoro del fotografo è cambiato profondamente, soprattutto perché per le riviste online è necessario essere più veloci ed efficienti possibile. Harrison spiega che una volta c’erano solo i fotografi sulla postazione a loro dedicata, ora ci sono «fotografi, video-maker, blogger, addetti ai social media, purché abbiano una macchina fotografica. Ci sono anche persone con i loro iPhone sul treppiede. Quando sei ad una sfilata importante e vedi qualcuno vicino a te che fa foto con una macchina da 120 dollari – o 300, siamo realistici – ti chiedi: “perché? Tu non dovresti stare qui, qui sono io il professionista”».

In ogni sfilata, alla fine della passerella, c’è una pedana a gradoni dove si mettono i fotografi che scattano le foto. Solitamente le agenzie hanno almeno due o più fotografi che si dividono le sfilate del giorno, anche perché ogni défilé ha in media mezz’ora di ritardo e spesso le sfilate si trovano da una zona diverse della città. In un reportage di Alessandra Lanza su Cultweek, rivista culturale online milanese, il fotografo Filippo Fior spiega che a New York, per esempio, i taxi non sono facili da reperire come si vede nei film e i fotografi si spostano a piedi da un isolato a all’altro, portandosi dietro la cassa con l’attrezzatura. A Londra solitamente si spostano con la metropolitana per evitare il traffico sulle strade, mentre a Milano la maggior parte va in scooter o in bicicletta. Una volta raggiunta la sfilata, alcuni si occupano di fare le foto ai personaggi in prima fila, altri vanno nel backstage a fotografare i preparativi. Quasi sempre non sono gli stessi che invece si posizionano sulla pedana. Generalmente i fotografi si conoscono tra di loro e rispettano una sorta di gerarchia nelle posizioni, in base soprattutto all’importanza dell’agenzia per cui lavorano. I fotografi ingaggiati direttamente dal brand si posizionano al centro e in prima fila. Le agenzie più grandi possono avere due fotografi sulla pedana, uno che si occupa dei look completi e l’altro degli accessori, dei dettagli e del trucco, perché anche le aziende che forniscono il make up sono interessate ad avere delle foto specifiche.

Harrison invece dice di fotografare tutto da solo, sia le modelle per intero a ogni uscita, che i dettagli e di avere addirittura il tempo per fare qualche foto artistica. Precisa che nel lavoro le tempistiche sono fondamentali e per riuscire a scattare al momento giusto solitamente conta i passi della modella, perché «gli scatti che i clienti vogliono sono quelli con un piede davanti all’altro, appoggiati a terra». È importante anche che entrambe le mani siano visibili, possibilmente lungo il corpo. Le agenzie più grandi e i fotografi incaricati dai brand hanno solitamente dei cavi collegati alle loro macchine fotografiche che trasmettono le foto in tempo reale nel backstage, dove un gruppo di editor le sistema e le carica online. Sul sito di Vogue America, per esempio, è possibile vedere le foto di una sfilata dopo pochi minuti dal suo inizio. Nelle sfilate minori e per i fotografi freelance, invece, ci sono delle persone (chiamati runner) che letteralmente corrono in agenzia con le memory card e consegnano le foto in poco tempo.

La cosa più odiata dai fotografi durante le sfilate sono le persone in prima fila che incrociano le gambe ed entrano con i piedi nello spazio della passerella, rovinando l’inquadratura. All’inizio dello show spesso si sentono dal fondo i fotografi gridare contro le interviste dell’ultimo minuto ai personaggi in prima fila, quando magari in passerella è già uscito il primo outfit. Negli ultimi anni anche i telefoni sono diventati un problema, visto che molti si sporgono dalla prima fila per fare foto o video con gli smartphone.

Un’altra categoria, che si è diffusa moltissimo negli ultimi anni, è quella dei fotografi di street style, ovvero quelli che fotografano le persone vestite bene o in modo eccentrico fuori dalle sfilate, che siano personaggi famosi, blogger o ancora persone che non entrano nemmeno alle sfilate ma amano farsi fotografare indossando abiti alla moda. Ultimamente i fotografi di street style si sono moltiplicati, ma uno dei più famosi è sicuramente l’americano Scott Schuman che ha creato il blog The Sartorialist, dove pubblica foto di persone vestite bene (non solo in occasione delle sfilate). Tempo fa, Fashionista spiegava in un articolo che i fotografi di street style sono solitamente ingaggiati direttamente dai giornali o dalle agenzie e una rivista può pagare fino a 30mila dollari a stagione per un fotografo conosciuto. I meno esperti guadagnano circa 12mila dollari al mese, mentre per una singola foto si va dai 100 ai 600 dollari. I giornali, soprattutto quelli online, usano queste foto affinché i lettori si ispirino e copino i look.

Il sito della rivista Studio ha raccontato la storia di quello che può essere considerato il primo fotografo di strada, Bill Cunningham, che da oltre cinquant’anni fotografa le persone vestite bene a New York e che tutt’ora ha una rubrica sul New York Times. Anna Wintour dice di lui: «Bill c’è sempre: guarda, fa uno, due scatti. Oppure nessuno, che praticamente significa la morte. Tutti ci mettiamo in ghingheri per lui».