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  • Giovedì 6 agosto 2015

Gli spericolati tuffatori di “high diving”

Come si allenano, di cosa hanno paura e cosa ci trovano di bello quelli che per sport si tuffano da 27 metri di altezza: cioè un palazzo di nove piani

di Dave Sheinin - Washington Post

Lo statunitense David Colturi. (Matthias Hangst/Getty Images)
Lo statunitense David Colturi. (Matthias Hangst/Getty Images)

Dagli impossibili 27 metri di altezza della piattaforma per i tuffi, circa nove piani di un edificio che si alza dal fiume russo Kanzanka, gli spericolati atleti dello “high diving” – disciplina in italiano nota come “tuffi da grandi altezze” – vedono cose che gli altri non possono vedere: la guglia accecante del Cremlino di Kazan, la città russa dove si stanno tenendo i Mondiali di nuoto; i minareti dorati della moschea Qol-Şärif, la principale moschea del Tatarstan, la Repubblica russa che ha per capitale Kazan; il punto dove si incontrano il Kazanka e il Volga, il più lungo fiume europeo; il Palazzo dei Contadini con le sue colonne bianche e la sua statua simbolica in bronzo che raffigura un albero; e, oltre Kazan, la vasta campagna del Tatarstan.

Dalla piattaforma dei 27 metri gli atleti vedono sotto di loro tre puntini neri: sono dei sub posizionati attorno al punto in cui si prevede che il tuffatore impatterà l’acqua, pronti a intervenire in caso di emergenza. Oltre ai sub, vedono il personale medico a bordo di una barca, vicino alla quale è parcheggiata un’ambulanza. Il tuffatore statunitense Andy Jones ha detto: «Se sbagli qualcosa in un tuffo da 27 metri, probabilmente andrai all’ospedale». A Jones, 20 anni, è capitato di sbagliare qualcosa ed è finito all’ospedale: si è incrinato delle costole, ha avuto un’emorragia esofagea e a maggio ha riportato dei danni ai nervi del plesso brachiale che hanno lasciato intorpidito il suo braccio per tre settimane. In quell’occasione Jones è stato portato fuori dall’acqua dai sub incaricati di intervenire in caso di emergenza.

Mercoledì pomeriggio Jones e i suoi due compagni di nazionale, David Colturi e Steve LoBue, sono saliti sopra la piattaforma di 27 metri per gareggiare nella finale maschile dello high diving. Si sono classificati rispettivamente quinto, quarto e settimo. La medaglia d’oro è andata al britannico Gary Hunt, che ha eseguito un triplo avanti con tre avvitamenti e mezzo (un video ad alta risoluzione dell’ultimo spettacolare tuffo di Hunt si può vedere qui).

Martedì Rachelle Simpson, un’altra statunitense, aveva vinto la medaglia d’oro nella gara femminile, dove però la piattaforma è posizionata a 20 metri, invece che a 27. Gli atleti in gara ai Mondiali di nuoto in Russia nella gara dello high diving erano 20 uomini e 10 donne, provenienti da 16 paesi e con esperienze alle spalle molte diverse tra loro. Jones per esempio si esibisce a Las Vegas con il Cirque de Soleil. Simpson è un ex ginnasta. Ma la maggior parte degli altri – tra cui Colturi e LoBue – sono ex tuffatori dalla piattaforma dei 10 metri. Colturi ha detto: «È uno sport estremo e tutti pensano che siamo dei pazzi dipendenti dall’adrenalina. In realtà siamo tutti atleti molto attenti a calcolare i rischi di quello che facciamo. C’è una grande scienza dietro ai nostri tuffi».

Questo è il secondo Mondiale nel quale lo high diving viene ammesso come disciplina dalla FINA, l’organo di governo mondiale degli sport acquatici. È stata una decisione molto importante per uno sport che ha le sue “radici spirituali” nei tuffi dalle scogliere e che si sviluppa ancora attorno alle Red Bull Cliff Diving World Series, una serie di gare di tuffi da 26-28 metri che si tengono in diversi luoghi del mondo e che stabiliscono un vincitore della disciplina ogni anno. Colturi ha detto: «Se uno ci pensa, il nostro è il più vecchio sport estremo del pianeta. Da quando esistono le scogliere da cui ci si può tuffare, gli uomini hanno cominciato a farlo. È uno sport estremo molto naturale. Non ci sono joystick, né motori, né equipaggiamenti particolari. Siamo solo noi che voliamo nell’aria».

I tuffi da 27 metri, visti da terra

Il prossimo passo, sperano i tuffatori, è ottenere una piena certificazione dalla FINA nella speranza che lo high diving venga ammesso alle Olimpiadi: se non a Tokyo nel 2020 almeno ai Giochi Olimpici del 2024. Negli ultimi anni il Comitato Olimpico Internazionale ha ammesso alle Olimpiadi diversi sport invernali estremi: lo high diving ha comunque meno possibilità di essere completamente accettato dalla FINA, anche per la sua difficoltà ad attrarre atleti da molti paesi diversi e per la scarsità di donne che lo praticano. Julio Maglione, il presidente della FINA, ha detto: «Abbiamo bisogno di più paesi che competano in questo sport, come succede nel nuoto, nella pallanuoto e nel nuoto sincronizzato». Maglione ha aggiunto che lo high diving «è nuovo. È eccitante. Ma la realtà è la realtà».

A Kazan i tuffatori dello high diving si muovono per lo più fuori dai canali ufficiali. Colturi, Jones e LoBue si allenano sotto l’organizzazione USA Diving, ma non hanno ufficialmente allenatori o personale medico affidati a loro. Si aiutano tra loro come possono. Hunt, il campione britannico, è rimasto stupito e molto colpito nel ricevere una lettera dalla federazione del suo paese che diceva che lui e i suoi compagni di squadra non erano considerati membri ufficiali della delegazione. Hunt ha detto: «Non ci hanno nemmeno dato una maglietta del Regno Unito».

Se non avessero bisogno del riconoscimento olimpico per guadagnare qualcosa in più, i tuffatori dello high diving potrebbero anche preferire il loro status attuale. Bisogna essere un certo tipo di atleta per essere disposto a lanciarsi da una piattaforma di 27 metri facendo delle torsioni e delle capriole mentre si è in aria e sperando di entrare in acqua prima con i piedi, l’unico modo sicuro per affrontare l’impatto e anche l’unico ammesso nelle regole dello high diving.

Un tuffo di Gary Hunt, con una videocamera in mano (dal minuto 3:20)

Nel mondo c’è solo una piattaforma permanente da 27 metri: si trova sulle montagne dell’Austria ed è accessibile sono durante i mesi estivi. I tuffatori di high diving generalmente si allenano e perfezionano i loro movimenti dalle piattaforme di 10 metri. Dividono i loro tuffi in tre momenti: il lancio – quando i piedi lasciano la piattaforma – le rotazioni da compiere in aria e l’entrata in acqua. Lavorano e si allenano molto dai 10 metri prima di affrontare i tuffi da 27 metri. La vista dall’alto, quando si è sulla piattaforma, è una delle gratificazioni più belle di questo lavoro. Colturi ha detto: «Mi prendo sempre un attimo per guardare dove sono, e solo dopo mi concentro sul tuffo».

Ma la paura non va mai via. Colturi, che nella finale di mercoledì è arrivato secondo dietro Hunt, pratica lo high diving da quasi cinque anni e prova ancora paura prima di ogni tuffo. È una costante e in un certo senso è una cosa sana dello sport. LoBue, 30 anni, ha detto: «La paura devi rispettarla. Diciamo sempre che ti devi tenere la paura a un livello sano, perché se il livello è troppo basso rischi di fare qualcosa di stupido, se è troppo alto potresti essere troppo nervoso e non concentrarti abbastanza sulla meccanica e su quello che devi fare per completare il tuffo in sicurezza».

La paura che provano i familiari dei tuffatori è una questione completamente diversa. Colturi ha detto che la sua bisnonna gli chiede sempre dove si vede tra tre anni, «sperando che io dica, “di nuovo a scuola”, oppure “a fare un lavoro vero”», ha raccontato Colturi. Ma la strategia migliore che hanno elaborato i tuffatori è invitare i loro famigliari ad assistere alle gare, invece che lasciarli a casa a pensare che potrebbe succedere il peggio. Jones ha detto: «Una volta che loro vedono per davvero quello che facciamo e come riusciamo a guidare il nostro corpo in acqua e rimetterci in posizione, loro provano conforto. Possono vedere che tutto sommato siamo sicuri e che non ci stiamo solo lanciando nel vuoto da là in alto».

©Washington Post 2015