Facebook sta guadagnando soldi con i video “rubati” da YouTube?

Per la prima volta nella sua storia YouTube ha un vero rivale, e Facebook non gioca con le stesse regole

di Will Oremus - Slate

Mark Zuckerberg, CEO di Facebook (Getty Images)
Mark Zuckerberg, CEO di Facebook (Getty Images)

Destin Sandlin è un ingegnere dell’Alabama che si occupa di test missilistici, ma è conosciuto soprattutto per essere una star di YouTube. Il suo canale di scienza (circa) si chiama SmarterEveryDay e ha 2,8 milioni di iscritti grazie ad alcuni suoi video di successo come il favoloso “La fisica di un gatto che si rovescia in slow motion”. A settembre Sandlin ha realizzato un video che voleva fare da tempo: ha preso una videocamera ad alta velocità e l’ha portata in un laboratorio di tatuaggi per riprendere nel dettaglio il modo in cui si fa un tatuaggio. “Mentre stavo facendo il montaggio ho detto a mio padre che sarebbe stato il mio video più importante”, mi ha spiegato di recente Sandlin. E aveva ragione, il video “Tatuare da vicino (in slow motion)” ha ottenuto più di 20 milioni di visualizzazioni in nove mesi.

Fin qui, questa sembra una storia di successo su YouTube come molte altre, ma si tratta in realtà di una storia su una particolare forma di pirateria online che è cresciuta rapidamente su Facebook nell’ultimo anno. Sandlin e altri personaggi famosi su YouTube sono convinti che Facebook se ne stia approfittando, e a loro spese. Questa è anche la storia di un terremoto nell’industria dei video online: per la prima volta nella sua storia, YouTube ha un vero rivale e Facebook non gioca con le stesse regole.

Due giorni dopo la pubblicazione del suo video sui tatuaggi su YouTube, Sandlin ha ricevuto un messaggio da uno degli iscritti al suo canale in cui gli diceva di avere visto il suo video su Facebook. Saltò fuori che quel video era diventato virale anche lì: anzi, si stava diffondendo molto più velocemente su Facebook di quanto non stesse facendo su YouTube, con oltre 18 milioni di visualizzazioni nei suoi due primi giorni online. Il problema è che Sandlin non aveva mai pubblicato il suo video su Facebook, e la versione che appariva in milioni di sezioni Notizie di Facebook non era stata caricata da lui. A quanto pare il video era stato scaricato da YouTube da un sito britannico, tagliato per rimuovere i riferimenti a Sandlin e successivamente caricato e pubblicato sulla pagina Facebook del giornale, utilizzando il player predefinito del social network (non era quindi il video originale di YouTube inserito sul sito tramite il classico copia-incolla del suo indirizzo). Sandlin, che tira su qualche soldo grazie a YouTube e li mette in un fondo per pagare un giorno l’università ai suoi figli, non riceveva nessun guadagno da Facebook.

La storia di Sandlin è comune a quella di molte altre persone che realizzano video in forma professionale. Un altro personaggio famoso su YouTube, Grant Thompson di The King of Random, mi ha detto che gli segnalano ogni giorno versioni dei suoi video modificate e pubblicate senza autorizzazione su Facebook. Lo scorso maggio ha pubblicato su YouTube un video in cui mostrava come si possono fare caramelle gommose a forma di mattoncini LEGO: ha ottenuto 600mila visualizzazioni nelle sue prime 24 ore. Poi qualcuno lo ha caricato senza permesso su Facebook e il video ha raggiunto i 10 milioni di visualizzazioni sul social network. “La cosa più scioccante è vedere quanto questi video diventino più virali su Facebook rispetto a YouTube. Alcuni di quei video hanno richiesto anni di lavoro: mi chiedo se abbia senso continuare a farli”, mi ha detto Thompson.

L’anno scorso, nel suo podcast Hello Internet, il filmmaker australiano Brady Haran ha usato il termine “freebooting” (letteralmente “saccheggiare”) per riferirsi alla pratica di chi prende i video di YouTube di qualcuno e li carica su una piattaforma diversa per trarne qualche beneficio. Il termine è diventato abbastanza conosciuto nel settore dopo che Sandlin in un video ha spiegato di che si tratta e ha chiesto aiuto agli iscritti al suo canale per combattere il fenomeno.

A dirla tutta, chi carica senza permesso video di altri su Facebook non trae un profitto diretto dalla sua attività perché – a differenza di YouTube – sul social network non vengono mostrate pubblicità prima dell’inizio dei video, o almeno per ora è così: questo è uno dei motivi per cui si diffondono così rapidamente. Chi ha caricato il contenuto guadagna comunque visibilità, sotto forma di “Mi piace”, di condivisioni del suo post e di nuove iscrizioni alla sua pagina Facebook. Queste ultime possono essere molto vantaggiose per diversi tipi di aziende, ma si tratta comunque di un’operazione rischiosa se si considerano le eventuali conseguenze sul piano legale. Secondo l’avvocato di Sandlin, il “freebooting” equivale alla violazione del copyright, anche se il fenomeno è relativamente nuovo e per ora non esistono molti precedenti legali.

Per capire come mai in tanti si assumono il rischio di avere grane legali, occorre tenere a mente come funzionano i video su Facebook, senza tralasciare gli incentivi che il social network ha creato nel suo tentativo di fare concorrenza diretta a YouTube. Il “freebooting” non equivale a condividere il link di un video di YouTube su Facebook: quando lo si fa, Facebook incorpora il video di YouTube, e tutte le visualizzazioni e le pubblicità mostrate sono di chi lo ha pubblicato. Nessuno ha niente da ridire su questo sistema, Sandlin compreso: è come dovrebbero funzionare le cose.

Ma le cose ora vanno diversamente perché nell’ultimo anno Facebook ha deciso di non volere essere più un semplice posto dove si condividono link trovati in giro per Internet. Facebook ora vuole ospitare direttamente i contenuti, in modo da poter controllare meglio la pubblicità e aumentare i ricavi. Quindi ha creato un suo sistema per riprodurre i video e gli ha dato qualche vantaggio nella sua sezione Notizie (“Newsfeed”): se condividi il link di un video di YouTube avrai un’anteprima statica del video con un tasto “play” su cui cliccare per farlo partire, e molti non lo fanno perché sanno che spesso si ritroveranno una pubblicità di YouTube da vedere prima della riproduzione del contenuto. Se invece prendi lo stesso video e lo carichi direttamente su Facebook, nella sezione Notizie sarà mostrato in bella evidenza e inizierà a essere riprodotto in automatico (senza audio) mentre stai facendo scorrere la pagina. Inoltre gli algoritmi di Facebook privilegiano i contenuti caricati direttamente dagli utenti, quindi il video sarà mostrato a più persone di quanto avviene di solito con la condivisione di un link.

Il sistema adottato da Facebook ha prodotto risultati sensazionali: a settembre la società aveva detto che i suoi utenti guardavano in media un miliardo di video al giorno, ma lo scorso aprile sono usciti i nuovi dati e ora sono quasi 4 miliardi di video al giorno. Il successo è dovuto in buona parte alla riproduzione automatica dei video, che accresce notevolmente il conteggio delle visualizzazioni rispetto a YouTube. La concorrenza inizia a essere molto serrata: a febbraio del 2014 un video su quattro era caricato direttamente su Facebook e non incorporato tramite link, un anno dopo il 70 per cento dei video visibili sul social network è caricato direttamente al suo interno.

E tutto questo che c’entra col “freebooting”? Ecco, immaginate di vedere un video su YouTube e di volerlo condividere su Facebook. Lo potete fare nel modo etico usando il link, ma è improbabile che molti vostri amici lo vedranno. Oppure potete utilizzare uno dei tanti sistemi per scaricare il file del video da YouTube e poi caricarlo su Facebook utilizzando il suo player, e vedere poi i “Mi piace” che arrivano copiosi. Come accade sempre quando c’è qualcosa che mette in evidenza una certa coincidenza tra il comportamento degli algoritmi di Facebook e gli interessi dell’azienda, c’è qualcuno che ipotizza che questa convergenza non sia per nulla casuale. Sandlin comunque ha una sua idea: “Non dico che quelli di Facebook abbiano creato gli algoritmi per rubare soldi a singoli come me, ma senza dubbio li hanno progettati in modo da renderli il più redditizi possibile per loro”.

Sia Sandlin sia Thompson mi hanno detto che quando incappano in casi smaccati di “freebooting” scrivono a Facebook per richiedere la rimozione del contenuto. Di solito l’azienda dà seguito alla richiesta, ma spesso ci mette un paio di giorni: un tempo sufficiente perché intanto un loro video diventi virale. Due giorni “sono praticamente infiniti nel tempo di Internet” mi ha spiegato Sandlin. YouTube, invece, ha particolari sistemi per identificare quasi immediatamente un video che viola il copyright: quando ne becca uno dà la possibilità al legittimo proprietario di farlo sparire o di lasciarlo online mettendoci prima una pubblicità, dalla quale potrà ottenere qualche ricavo per compensare la pubblicazione non autorizzata. Il sistema non è perfetto, ma offre comunque qualche garanzia in più.

Quelli di Facebook mi hanno spiegato che hanno a cuore anche loro la questione del copyright: usano sistemi per identificare e rimuovere i video protetti dal diritto d’autore, e dicono anche che se necessario procedono alla sospensione degli account che li hanno pubblicati senza autorizzazione. Ma per loro stessa ammissione, ci sono ancora molti ambiti in cui migliorare e si tratta di una “sfida tecnica notevole”. Le cose forse miglioreranno nei prossimi mesi in seguito all’aggiunta di nuovi sistemi di monitoraggio, ma non è ancora chiaro in che misura queste soluzioni limiteranno il fenomeno del “freebooting”.

Un altro problema è che il motore di ricerca interno di Facebook non permette di trovare i post in cui sono stati caricati i video. Le violazioni sono segnalate a Sandlin e agli altri dagli utenti che, per caso, vedono passare nella loro sezione Notizie un video che originariamente avevano visto sul canale YouTube cui sono iscritti. Solo a quel punto, con un riferimento chiaro a uno specifico post, è possibile inoltrare la richiesta per la rimozione del contenuto: è quindi un’operazione che richiede tempo e risorse che spesso i produttori di video di YouTube non hanno, e che è affidata al caso.

L’ambiguità mantenuta finora sul controllo del fenomeno ha permesso a Facebook di ottenere un successo notevole per il suo sistema dei video, ma potrebbe comunque rivelarsi una strategia controproducente se l’azienda un giorno decidesse di rivolgersi ai produttori di contenuti per proporre loro di lasciare YouTube e pubblicare direttamente sulla sua piattaforma. Molti iniziano a nutrire una certa disaffezione per il social network, anche se non è escluso che le cose cambino rapidamente nel momento in cui Facebook iniziasse a spartire parte dei propri ricavi derivanti dalla pubblicità con chi ha realizzato i video. E questo potrebbe diventare un serio problema per YouTube.

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