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  • Martedì 17 giugno 2014

L’inseguimento di O.J. Simpson, vent’anni fa

Fu trasmesso in diretta da tutte le principali reti televisive e fu uno dei casi mediatici più seguiti della storia americana

La Ford Bronco con a bordo O.J. Simpson inseguita dalle auto della polizia a Los Angeles, il 17 giugno 1994 (AP Photo/Joseph Villarin, File)
La Ford Bronco con a bordo O.J. Simpson inseguita dalle auto della polizia a Los Angeles, il 17 giugno 1994 (AP Photo/Joseph Villarin, File)

Martedì 17 giugno 1994, l’emittente televisiva statunitense NBC interruppe la trasmissione della partita dei playoff di basket NBA tra New York Knicks e Houston Rockets per trasmettere in diretta – come già stavano facendo CBS, ABC e CNN, e tutti i principali canali televisivi americani – l’inseguimento del popolare ex giocatore di football e attore statunitense O.J. Simpson da parte delle macchine della polizia lungo l’autostrada Interstate 405 di Los Angeles.
Una ventina di elicotteri riprese tutto l’inseguimento; su NBC la trasmissione della partita delle finali NBA – che negli Stati Uniti è uno degli eventi sportivi più seguiti dell’anno – fu mantenuta in un piccolo riquadro in basso a destra.

A bordo della Ford Bronco bianca inseguita dalla polizia c’erano O.J. Simpson – sul sedile posteriore, armato di una pistola – e Al Cowlings, suo ex compagno di squadra nei Buffalo Bills, che guidava la macchina. Divenne uno dei casi mediatici più famosi e seguiti della storia della televisione americana.

 

Chi era O.J. Simpson e perché stava scappando
Il 17 giugno 1994 O.J. Simpson – nome abbreviato di Orenthal James Simpson – era soltanto un noto ex giocatore di football americano che aveva giocato a lungo nei Buffalo Bills, e che poi – una volta ritiratosi – aveva anche recitato in alcuni film, tra cui i più famosi erano stati quelli comici della serie Una pallottola spuntata. Da pochi giorni la sua popolarità era stata enormemente accresciuta da un fatto di cronaca accaduto quattro giorni prima dell’inseguimento, il 13 giugno, quando la sua ex moglie – la trentacinquenne Nicole Brown, dalla quale aveva divorziato nel 1992 – era stata trovata uccisa insieme al venticinquenne Ronald Goldman, amico di lei: erano stati ripetutamente colpiti con un coltello nel giardino di casa dei Simpson, a Brentwood, un lussuoso quartiere di Los Angeles, mentre i due figli di Simpson e Brown dormivano in casa.

Sebbene O.J. Simpson fosse tra i principali indiziati, anche per via di precedenti denunce di violenza domestica da parte della moglie, all’inizio non fu formalmente accusato per quell’omicidio.

Cosa era successo tra l’omicidio e la fuga
Subito dopo aver scoperto l’omicidio, intorno alla mezzanotte tra il 12 e il 13 giugno, il Dipartimento di polizia di Los Angeles cercò di contattare Simpson: venne a sapere che aveva preso un aereo diretto da Los Angeles a Chicago alle 23:45. Dopo essere stato informato della morte della ex moglie, Simpson tornò a Los Angeles nel primo pomeriggio del 13 giugno, fu subito ammanettato dalla polizia e portato in questura per essere interrogato: lo rilasciarono poche ore dopo, e lui, il giorno dopo, assunse un avvocato, Robert Shapiro.

Col passare delle ore, in seguito al ritrovamento in giardino di alcune macchie di sangue compatibili con quello di Simpson, i sospetti continuarono ad aumentare e l’attenzione della polizia di Los Angeles si concentrò su di lui, che intanto aveva anche preso parte ai funerali della ex moglie. Nella notte tra il 16 e il 17 giugno, quando cioè le indagini portarono alla formulazione dell’accusa per duplice omicidio di primo grado (reato per cui avrebbe anche potuto essere condannato a morte), Simpson si trovava a casa di un amico di Al Cowlings, Robert Kardashian, che abitava nella San Fernando Valley, sud della California.

Cosa successe martedì 17, dall’inizio
La polizia telefonò all’avvocato Shapiro intorno alle 8 e trenta del mattino, e gli disse che Simpson era accusato dell’omicidio e che avrebbe dovuto consegnarsi spontaneamente alla polizia di Los Angeles entro le 11, dopodiché – se non lo avesse fatto – sarebbe stato considerato un fuggitivo. Alle 10:45 Shapiro – che intanto era corso a casa di Kardashian, dove Simpson aveva passato la notte – ricevette dalla polizia un’altra telefonata in cui gli veniva esplicitamente richiesto di riferirgli il posto in cui si trovava il suo assistito. Shapiro rispose, comunicò il luogo alla polizia e disse che il ritardo era dovuto ad alcune visite mediche a cui Simpson si stava sottoponendo (nei giorni precedenti, a Simpson era stata diagnosticata una forte depressione, come più volte sostenuto dal suo avvocato).

Una macchina della polizia arrivò a casa di Kardashian alle 11, gli agenti entrarono e trovarono Shapiro, Kardashian e diversi medici, ma non Simpson e Cowlings, che intanto erano scappati da una porta sul retro ed erano scappati su una Ford Bronco bianca. A quel punto l’avvocato Shapiro tenne una conferenza stampa in cui annunciò che Simpson era in fuga ed era molto turbato, al punto di poter commettere un suicidio; parlò anche Kardashian, che lesse una lettera scritta da Simpson in cui si dichiarava innocente, e che somigliava alla lettera di un suicida. Intorno alle 2 del pomeriggio il comandante David Gascon della polizia di Los Angeles annunciò ai media, piuttosto alterato, che Simpson era ricercato per duplice omicidio. In quei giorni la polizia era già stata criticata da una parte dell’opinione pubblica per aver temporeggiato troppo tempo prima di procedere all’accusa e all’arresto di Simpson.

L’inseguimento
Poco dopo le due del pomeriggio la polizia rintracciò la Ford Bronco con a bordo Simpson e Cowlings sull’autostrada 405 di Los Angeles, diretta verso la contea di Orange, dove si trovava casa dei Simpson, a Brentwood. Venti macchine della polizia si misero all’inseguimento della Ford Bronco, che fu piuttosto insolito come inseguimento: la Ford Bronco procedeva a velocità relativamente bassa, circa 60 chilometri orari. Tutto fu seguito con grande attenzione dalle televisioni e anche dalle stazioni radiofoniche locali, che intanto ricevettero decine di telefonate da parte di ascoltatori che si erano appassionati alla vicenda.

Il detective Fred Lange, che stava seguendo il caso, telefonò a Cowlings sul cellulare, e lui rispose dicendo che Simpson si trovava sul sedile posteriore e che gli stava tenendo un pistola puntato alla testa. La polizia continuò a inseguire la Bronco fino a casa di Simpson a Brentwood, dove arrivarono intorno alle 19:45. Cowlings parcheggiò la Bronco nel vialetto, gli agenti di polizia circondarono la casa, e Cowlings scese dalla macchina gridando il suo nome con le mani in alto, ed entrò in casa. Simpson rimase nella macchina per circa un’ora, minacciando di uccidersi: alla fine, dopo circa un’ora, scese dalla macchina e si arrese. La polizia gli confiscò la pistola (una 357 Magnum), dei baffi e un pizzetto falsi, e una foto di famiglia che aveva tenuto con sé durante l’inseguimento. Gli permisero di entrare in casa, usare il bagno e telefonare alla madre, dopodiché fu trasportato al dipartimento di polizia.

Come finì per O.J. Simpson
Il caso “O.J. Simpson” cominciò a gennaio del 1995 e fu uno degli eventi di cronaca giudiziaria più seguiti di sempre, negli Stati Uniti. Se ne parlò a lungo non soltanto per la gravità del delitto di cui Simpson era accusato ma anche per come andò a finire: velocemente e con un’assoluzione. Poi, nel 1997, Simpson fu condannato da un tribunale civile a pagare 33 milioni di dollari per quei reati. Nel 2007, infine, fu arrestato a Las Vegas per rapina a mano armata e sequestro di persona, e poi condannato a 33 anni di carcere, che attualmente sta scontando in una prigione in Nevada.

Foto: AP Photo/Joseph Villarin