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  • Martedì 25 giugno 2013

I fanatici buddhisti

In Birmania un movimento guidato da un monaco fomenta odio e violenze contro la minoranza islamica

Wirathu (C), a Buddhist monk from Mandalay whose anti-Muslim remarks have come under recent scrutiny, attends a conference about the religious violence that has shaken the country at a monastery on the outskirts of Yangon on June 13, 2013. Buddhist monks from across Myanmar gathered to explore ways to ease religious tensions, after some of them were implicated in attacks on Muslims. Deadly unrest -- mostly targeting Muslims -- has laid bare deep divides in Buddhist-majority Myanmar and clouded major political reforms since military rule ended two years ago. AFP PHOTO / YE AUNG THU (Photo credit should read Ye Aung Thu/AFP/Getty Images)
Wirathu (C), a Buddhist monk from Mandalay whose anti-Muslim remarks have come under recent scrutiny, attends a conference about the religious violence that has shaken the country at a monastery on the outskirts of Yangon on June 13, 2013. Buddhist monks from across Myanmar gathered to explore ways to ease religious tensions, after some of them were implicated in attacks on Muslims. Deadly unrest -- mostly targeting Muslims -- has laid bare deep divides in Buddhist-majority Myanmar and clouded major political reforms since military rule ended two years ago. AFP PHOTO / YE AUNG THU (Photo credit should read Ye Aung Thu/AFP/Getty Images)

Negli ultimi anni in Myanmar, l’ex stato della Birmania, stanno aumentando gli attacchi compiuti da alcuni movimenti buddhisti estremisti contro gli appartenenti a una minoranza islamica presente nel paese, i rohingya. Il New York Times fa un punto della situazione, scrivendo che in questi attacchi i buddhisti estremisti hanno ucciso più di 200 musulmani, cacciandone dalla proprie abitazioni più di 150.000. I rohingya sono una piccola parte della popolazione del Myanmar, e sono i discendenti di alcune persone provenienti dal Bangladesh vendute come schiave durante il periodo coloniale; secondo alcune stime sono fra il 4 e l’8 per cento della popolazione totale del paese, circa 55 milioni di abitanti.

Uno dei movimenti buddhisti anti-islamici più popolari si fa chiamare “969”, un numero che secondo i monaci simboleggia le virtù del Buddha,  le sue fatiche e suoi fedeli. Il simbolo numerico del movimento viene diffuso dagli aderenti con adesivi, targhe sulle macchine e slogan appesi nei negozi; l’inno ufficiale contiene frasi come «vivono sulla nostra terra, bevono la nostra acqua, e non portano rispetto», con riferimento ai rohingya. Recentemente 969 ha avviato alcune campagne contro il matrimonio interreligioso e a favore del boicottaggio dei negozi gestiti dai rohingya.

Ashin Wirathu, il capo del movimento 969, è un monaco buddhista che ha già scontato otto anni di prigione per incitamento all’odio, ed è stato rilasciato l’anno scorso grazie a un’amnistia: da allora tiene moltissimi discorsi pubblici in cui inveisce contro la minoranza rohingya, negando però il coinvolgimento nelle violenze che spesso seguono ai suoi discorsi. Wirathu si dice fiero di essere descritto come «un buddhista radicale», e riguardo la convivenza fra la maggioranza buddhista e la minoranza musulmana ha detto spesso cose tipo «è necessario essere persone gentili e amorevoli, ma non è possibile dormire accanto a un cane rabbioso». Riguardo al recente massacro di musulmani avvenuto a marzo nella città di Meiktila, fra i quali c’erano anche molti bambini, Wirathu ha detto che è stata una dimostrazione di forza da parte della maggioranza buddhista, e che «il paese diventerà musulmano, se ci mostreremo deboli».

Per il governo è molto complicato arginare queste attacchi da parte dei buddhisti estremisti, poiché quasi tutta la classe dirigente politica, economica e religiosa del paese è buddhista. Durante una delle manifestazioni del movimento, a Taunggyi, la polizia statale ha persino bloccato il traffico per consentire ai manifestanti di 969 di protestare. Molti giornali in Myanmar credono inoltre che il movimento darà l’appoggio a una lista nazionalista, che potrebbe presentarsi alle prossime elezioni del 2015, ma Wirathu per il momento ha smentito questa possibilità. Il governo centrale, controllato dai successori del regime militare che ha preso il potere nel 1990, non ha inoltre alcun interesse a inimicarsi la classe dirigente locale e nazionale, a maggioranza buddhista, e lo stesso si può dire per la National League for Democracy (NLD), il partito del premio Nobel Aung San Suu Kyi, che pure viene accusato dai propri avversari politici di essere molto vicino alla minoranza rohingya.

Il Dalai Lama, dopo gli attacchi di marzo a Meiktila, ha detto che uccidere in nome della religione è «impensabile», e ha invitato i buddhisti del Myanmar a trarre ispirazione per i propri comportamenti dal volto del Buddha. Phra Paisal Visalo, un monaco thailandese molto famoso, ha criticato le posizioni di Wirathu sostenendo che il concetto di “noi” e “loro” nella religione buddhista non ha senso. Phra Paisal ha inoltre detto che il clero buddhista in Myanmar è isolato rispetto a quello di altri paesi, e che le critiche hanno da quelle parti «un impatto molto basso». Ashin Sanda Wara, capo di una scuola monastica di Yangon, ha detto che il clero del Myanmar riguardo il tema dei rapporti con i rohingya è sostanzialmente diviso a metà fra moderati e estremisti, ma che gli stessi moderati «hanno paura dei musulmani perchè stanno diventando sempre più numerosi».

il monaco Ashin Wirathu, foto: Ye Aung Thu/AFP/Getty Images