Django, 1966

Le cose da sapere sul western italiano di Sergio Corbucci che ha (quasi) lo stesso nome dell'ultimo film di Tarantino

Giovedì 17 gennaio è uscito nei cinema italiani Django Unchained, l’ultimo film di Quentin Tarantino. Il titolo del film – e non solo quello – si ispira a un western di grande successo di quasi 50 anni fa, che ha una storia molto interessante e che dice qualcosa del mondo di Tarantino (e dei suoi film).

Il titolo di Tarantino
Il titolo Django Unchained si richiama al western del regista romano Sergio Corbucci dal titolo Django, che uscì nel 1966, per esplicita ammissione di Tarantino: questi ha detto che l’idea del film gli venne intorno al 2007, mentre stava scrivendo un libro proprio su Sergio Corbucci (se la cosa che Tarantino scriva libri vi stupisce, sappiate, cari fan, che il regista ha detto che a sessant’anni – oggi ne ha 49 – si ritirerà per dedicarsi a scrivere di cinema).

Ma oltre a Django c’è Unchained (“scatenato”), e qui entrano in gioco altri due film. Il primo è Hercules Unchained, del 1959, regia di Pietro Francisci, ed è un esponente di un altro glorioso filone del cinema italiano, il peplum ambientato nell’antichità greca o romana. Il film di Francisci, che in italiano si intitola Ercole e la regina di Lidia, parla anche della lotta dell’eroe Ercole per sfuggire dalla schiavitù, e chi ha visto il film sa che “Ercole” è un nome che ritorna. L’altro film è Angel Unchained (in italiano L’angelo scatenato), un film in cui un biker si vendica su un gruppo di campagnoli del sud degli Stati Uniti.

Ci fermiamo al titolo, ma come al solito i riferimenti nel corso del film sono altre centinaia. Un solo esempio, e gli altri alla vostra curiosità (e se volete a questa lista, con cui si scopre anche che esiste una Wikipedia dedicata a Tarantino): il nome “mandingo” dato ai lottatori neri non è casuale.

Django, 1966
Il film di Sergio Corbucci aveva come protagonista un eroe di nome Django, interpretato da Franco Nero, che con quel film diventò molto famoso a livello internazionale (e si trasferì a Hollywood dopo pochi mesi). Nel film di Tarantino, Franco Nero – che nella vita reale, tra le altre cose, è il marito di Vanessa Redgrave da qualche anno – fa una breve apparizione. Il film Django è uno dei titoli più famosi del genere detto “spaghetti-western” o “western all’italiana”, quello strano fatto della storia del cinema in cui una serie di produzioni italiane ripresero un vecchio filone cinematografico che negli Stati Uniti cominciava a passare di moda – quello ambientato nella frontiera americana – e lo fecero diventare famosissimo in tutto il mondo, grazie a registi del livello di Sergio Leone. Questo è il trailer italiano di Django.

Il genere del western e del western italiano piace da sempre a Tarantino: nel 2012, come nel 2002, ha votato per Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone tra i suoi film preferiti di tutti i tempi nel famoso sondaggio del British Film Institute: il film uscì lo stesso anno di Django.

Ma parliamo del Django originale.
La scena si apre con un uomo vestito di scuro – l’uomo è un ex soldato nordista, come indica la striscia gialla nei pantaloni – che trascina dietro di sé una bara: subito dopo, una donna viene frustata perché ha tentato di scappare da un gruppo di uomini. All’epoca il film diventò famoso anche per la sua violenza. Le sparatorie sono abbondanti e il body count arriva a 81 persone uccise da Django. Una delle scene più famose, insieme al finale e alla già citata bara, è il taglio di un orecchio fatto da un rivoluzionario messicano a una spia, che Tarantino aveva già ripreso in un altro suo film, Le iene. Senza fare troppe anticipazioni, in tutto il film non c’è un solo afroamericano, anche se c’è parecchio il tema del razzismo nei confronti dei messicani (uno dei gruppi dei “cattivi” è formato da ex soldati sudisti fanatici religiosi).

Quando uscì, in Italia intorno a Pasqua del 1966, Django ebbe un grande successo soprattutto in Europa (in Germania e in Spagna, in particolare) e in pochi anni venne girata una lunga serie di seguiti (circa una trentina) che non avevano niente a che fare con la produzione originale, tutti con il personaggio di Django come protagonista (qualcuno si può vedere per intero su YouTube). Nel mercato inglese il film arrivò solo dopo molti anni. L’unico sequel che venne autorizzato, nello stesso 1966, andò incontro a diversi problemi durante le riprese per l’abbandono di Corbucci e dello stesso Franco Nero e alla fine uscì con il titolo Texas, addio. Più di vent’anni dopo, nel 1987, uscì Django 2 – Il grande ritorno (che si può vedere qui, in inglese) di nuovo con Sergio Corbucci, ma questa volta alla sceneggiatura, e Franco Nero nel ruolo di Django.

Le musiche del film sono del celebre compositore di colonne sonore Luis Enriquez Bacalov, di origine argentina ma naturalizzato italiano, che collaborò anche con il famoso gruppo di progressive dei New Trolls. I titoli di testa dicono che la canzone “Django”, che si sente anche in apertura del film di Tarantino, è interpretata da Rocky Roberts, un cantante americano molto famoso in quegli anni in Italia grazie al grande successo di Stasera mi butto (nella versione italiana la canta Roberto Fia).

Sergio Corbucci prese il nome Django dal celebre jazzista Django Reinhardt, di cui era un grande fan. Il film venne girato con pochi soldi in poco più di venti giorni di riprese, il che è visibile in parecchi errori e incongruenze del film (i cosiddetti blooper) e in diversi aspetti tecnici piuttosto “artigianali”. Il basso budget fu probabilmente la fortuna di Nero, che venne scelto al posto del più celebre Mark Damon. Damon era stato il protagonista del film precedente di Corbucci, Johnny Oro (che Corbucci preferiva parecchio a Django). Le riprese vennero fatte parte in Spagna, a nord di Madrid, e parte sulla riviera laziale (a Tor Caldara), mentre gli interni furono girati al centro di produzione Elios, vicino a Roma.