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  • Venerdì 12 ottobre 2012

La foto di Elián González

La storia di un'immagine e del caso che coinvolgeva un bambino cubano e l'immigrazione negli Stati Uniti, nel 2000

Nel 2000, il caso di un bambino cubano di sei anni di nome Elián González fu al centro di una controversia tra Cuba e gli Stati Uniti, che si concluse con un’irruzione degli agenti federali statunitensi in una casa di Miami, per prendere il bambino e rimpatriarlo a Cuba: l’azione fu raccontata da una celebre fotografia di Alan Diaz.

Nel novembre del 1999, Elián aveva lasciato Cuba insieme a sua madre e ad altri dodici persone su una piccola imbarcazione con il motore difettoso. Durante la traversata, una tempesta uccise quasi tutti gli occupanti della barca, tra cui anche la madre di Elián (che non sapeva nuotare). Il bambino, insieme ad altri due sopravvissuti, venne salvato in mare da alcuni pescatori che li consegnarono alla Guardia costiera degli Stati Uniti.

Arrivato negli Stati Uniti, Elián venne consegnato dal servizio immigrazione degli Stati Uniti ai parenti di suo padre che abitavano a Miami, in Florida: ma il padre, rimasto a Cuba, sostenne che la madre e il figlio se ne erano andati senza dirgli nulla e chiese che il bambino gli venisse restituito. I parenti di Miami, però, non intendevano permettere che Elián lasciasse gli Stati Uniti. Cominciò così una serie di scontri legali, mentre la storia di Elián diventava famosa in tutti gli Stati Uniti e veniva seguita dai principali mezzi di informazione nazionali. Le due nonne del bambino volarono dall’Avana agli Stati Uniti per cercare di riportare indietro Elián. Si mossero membri del congresso americano e si espresse sul caso anche il ministro degli esteri spagnolo (dicendo che il diritto internazionale imponeva il ritorno a Cuba del bambino).

Una corte federale decise che solo il padre di Elián potesse presentare domanda di asilo per conto del bambino, rifiutando quindi la domanda che era stata presentata dai parenti che vivevano negli Stati Uniti. Il giudizio venne confermato in appello una prima volta e successivamente la Corte Suprema respinse il caso rifiutando di pronunciarsi, concludendo così la battaglia legale.

Un giudice stabilì che entro il 13 aprile 2000 Elián dovesse essere riconsegnato alle autorità per permettere il suo ritorno a Cuba. I parenti cubani di Miami, però, si rifiutarono di consegnare il bambino e si rinchiusero nella loro casa, che venne circondata dalla polizia e da alcuni manifestanti. Si avviarono negoziati laboriosi che durarono per giorni, ma non si riuscì ad arrivare a nessun accordo per il rilascio del bambino.

Poco prima dell’alba del 22 aprile 2000, otto agenti dei corpi speciali delle guardie di confine statunitensi fecero irruzione nella casa: all’esterno c’erano circa un centinaio di manifestanti, quasi tutti contrari al rimpatrio del bambino a Cuba. Nella vicenda, infatti, la comunità cubana della Florida si era schierata per la maggior parte a favore dei parenti del bambino che avevano deciso di fare di tutto per tenere Elián negli Stati Uniti.

Poco dopo l’inizio dell’operazione degli agenti federali, uno delle molte persone che erano all’interno della casa riuscì a far entrare dentro Alan Diaz, un fotografo dell’Associated Press, con l’idea che potesse registrare e testimoniare eventuali violenze. Gli agenti iniziarono una lenta e laboriosa perquisizione della casa, alla ricerca del bambino che non veniva consegnato loro dagli occupanti. Il fotografo venne fatto entrare in una stanza in cui si trovavano Elián, tre suoi parenti e Donato Dalrymple, uno dei due pescatori che avevano salvato il bambino nell’oceano pochi mesi prima. Diaz scattò la celebre foto in cui un agente delle guardie di confine scopre Dalrymple e il bambino, nascosti in un armadio a muro.

Dopo quattro ore dall’inizio dell’operazione, gli agenti consegnarono il bambino a suo padre, che nel frattempo era arrivato negli Stati Uniti e si trovava in una base dell’aeronautica nel Maryland. I due fecero ritorno a Cuba nel giugno successivo. Oggi Elián ha vent’anni e vive a Cárdenas, una cittadina portuale nel nordovest di Cuba, insieme a suo padre Juan Miguel, che lavora come cameriere in un ristorante.