domenica 13 Luglio 2025
C’è stato un altro episodio della cronologia di guai al Washington Post seguiti alla politica di interventi censori della proprietà e della dirigenza dell’azienda, iniziata alla vigilia della vittoria elettorale di Donald Trump, lo scorso ottobre. L’opinionista Joe Davidson, che aveva una rubrica fissa sul giornale da diciassette anni (e con cui collaborava da venti), ha spiegato su Facebook molto polemicamente le ragioni della sua scelta di lasciare il giornale, annunciata più sinteticamente dieci giorni prima. Davidson ha raccontato che una sua rubrica severa contro gli “attacchi alla libertà di pensiero e di espressione” da parte di Trump era stata bloccata perché “troppo opinionated”, con una logica che non era mai esistita nella storia del giornale. Le sue successive rubriche hanno ricevuto altre obiezioni.
“Come columnist, non posso accettare questo livello di costrizione. Una rubrica senza commenti fa di me un columnist senza column […] Lascio il Post ma solo come giornalista. Molte persone hanno comprensibilmente cancellato i loro abbonamenti per protestare contro le scelte di Bezos che hanno danneggiato l’integrità del giornale. Io continuerò a essere abbonato, e a leggere e sostenere il lavoro tuttora eccellente dei giornalisti del quotidiano e del sito”.
Nel frattempo l’amministratore delegato dell’azienda Will Lewis ha diffuso un invito per i giornalisti che non si sentano adeguati ai cambiamenti in corso, e a quelli che verranno, a lasciare il giornale attraverso un minaccioso e ricattatorio “programma di separazione volontaria”.
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