domenica 12 Gennaio 2025
Da quando i giornali hanno spostato in misure crescenti le loro sostenibilità economiche sugli abbonamenti digitali, il dato sugli abbonati è diventato sempre più rilevante per mostrare la salute economica di una testata e il suo eventuale successo: sia presso i lettori che presso gli inserzionisti pubblicitari.
In quasi nessun paese, però, e neanche in Italia, esiste un organismo terzo di certificazione del numero degli abbonamenti venduti, come ne esistono per esempio per certificare la diffusione e la vendita delle copie cartacee. In Italia ADS indica – avendo come fonte i giornali stessi – gli abbonamenti alle sole edizioni digitali dei quotidiani cartacei: ovvero le versioni sfogliabili sugli apparecchi come smartphone e tablet. Restano fuori da questa certificazione tutti gli abbonamenti ai siti di news, sia che si tratti di siti di testate cartacee che di giornali solo online. Per questo i dati che circolano e che vengono a volte citati sono quelli che le singole testate decidono di raccontare all’esterno, senza particolari verifiche.
Ma l’altro elemento che rende vaghi e sommari questi dati è che “abbonati” è una definizione che comprende molte condizioni diverse. Innanzitutto condizioni di pagamento: se prendiamo il caso del Post le alternative sono solo due (abbonati mensili a 8 euro o abbonati annuali a 80 euro), ma la gran parte dei siti più famosi offre abbonamenti di durate molto più varie e con promozioni e sconti di diversa misura. Molti offrono anche promozioni personalizzate quando un abbonato decide di cancellare l’abbonamento, o in altri contesti. E per valutare il successo di una campagna di abbonamenti sapere quanti abbonati hanno pagato 200 euro per un anno e quanti 5 euro per un trimestre in prova può essere utile.
Ci sono poi le condizioni di scadenza e di pagamento degli abbonamenti in questione: molti abbonati hanno attivato (o viene attivato dal sito) il “rinnovo automatico”, che crea un valore in più. Significa che potenzialmente il loro abbonamento avrà una durata maggiore della sua scadenza, e che sarà più probabile che rimangano nel conteggio totale degli abbonati. Altri abbonati invece no, e quindi la loro appartenenza al “totale degli abbonati” è del tutto temporanea. In teoria, estremizzando, un sito di news che abbia cinquantamila abbonati oggi potrebbe averne zero tra un anno (o persino tra un mese), se nessuno rinnovasse. Quindi dentro il “totale degli abbonati” di oggi ce n’è una quota che va in scadenza e sarà persa domani, una quota che sarà persa tra un mese, una quota che sarà persa tra un anno.
È uno sviluppo continuo e quotidiano, che i responsabili degli abbonamenti chiamano “churn”: è il termine che definisce la quota di abbonati che viene persa in un dato intervallo di tempo rispetto al totale. E la sua importanza è data appunto dalla volatilità di una parte degli abbonamenti, soprattutto quelli ottenuti attraverso sconti e promozioni.
A questa percentuale precaria di abbonati, come abbiamo detto, va aggiunta una quota che non sta pagando quell’abbonamento promozionale (oppure offerto assieme a un abbonamento cartaceo), una quota che lo sta pagando pochissimo, eccetera. Per questo i numeri totali e generici di “abbonati” citati dalle testate avrebbero bisogno di maggiori definizioni e dettaglio per essere valutati.
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