domenica 19 Giugno 2022

Plagi e invenzioni

USA Today , il quotidiano americano che abbiamo citato spesso perché resta tra i più venduti ed è tra i pochi diffusi su scala nazionale, ha dovuto cancellare ben 23 articoli di una propria giornalista e ammettere che dopo un’indagine interna quegli articoli erano risultati citare fonti inventate o plagiate da altri articoli. La giornalista si è dimessa. L’indagine era iniziata dopo una segnalazione arrivata al giornale, di un’organizzazione che aveva negato di conoscere un suo presunto appartenente citato in un articolo.

Le questioni di plagio e invenzione hanno una storia ricca e drammatica nel giornalismo americano, assai più che da noi, per diverse ragioni. Una è che c’è un rigore molto maggiore e pochissima tolleranza, laddove in Italia in particolare quello che gli americani chiamerebbero “plagio” è praticato con grande frequenza, raccogliendo e usando con grande frequenza contenuti di altre testate o contenitori (alcuni giornali americani sono soliti citare anche la fonte delle notizie di agenzia, cosa che in Italia non avviene quasi mai). L’altra è che c’è un lavoro di reporting e indagine giornalistica originale, negli Stati Uniti, molto più frequente e impegnativo che qui: e quindi a quel lavoro si attribuisce un valore molto alto sia per la qualità dell’articolo sia per la necessità che venga citato quando è usato da altri articoli. Perciò ci sono diversi casi a questo proposito che sono nella storia del giornalismo americano, che sono stati raccontati, e che sono rimasti sulla coscienza delle testate coinvolte, laddove da noi circolano al massimo delle isolate accuse online senza seguito oppure delle chiacchiere interne tra le redazioni su episodi famigerati e taciuti di invenzione, o su discutibili abitudini di alcuni. Come sempre, è un problema più di cultura giornalistica, che di responsabilità dei singoli: nessuna testata italiana ha mai comunicato di avere scoperto casi di plagio o invenzione da parte di propri giornalisti.

Comunque, a proposito del caso di USA Today (che aveva già avuto un incidente simile con le parole crociate sei anni fa ), ha pubblicato delle interessanti riflessioni Kelly McBride, che si occupa di etica del giornalismo al Poynter Institute. La prima è che spesso una rivelazione di invenzioni (nella quasi totalità di casi si tratta di virgolettati e persone citate mai esistiti, o creati per adattarsi a citazioni prese da altri articoli) non è mai isolata, e che un giornalista che lo abbia fatto una volta lo avrà fatto anche altre. McBride ha poi elencato le procedure da mettere in atto da parte di una redazione in caso di segnalazioni e dubbi di questo genere:
– chiedere al giornalista se ha spiegazioni
– chiedere al giornalista “se studio e verifico i tuoi articoli posso trovare qualcosa che non va?”
– dedicarsi a controllare gli articoli del giornalista facendo ricerche su passaggi che possano apparire in altri articoli, o su fonti citate che non risultino esistere.

Un consiglio prezioso è quello di non trascurare il lavoro di “editing” degli articoli, e di non cedere alla consuetudine di questi tempi di pubblicare (soprattutto online) senza nessuna revisione o confronto  con l’autore da parte di chi coordina il suo lavoro: non solo perché si perde un’occasione di verifica o controllo su un articolo, ma anche perché l’assenza di quel confronto piuttosto che responsabilizzare l’autore può abituarlo all’idea di una minor rilevanza del suo lavoro e della sua accuratezza.

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