domenica 9 Luglio 2023

Peccare di omissioni

C’è stata una piccola questione intorno a una collaboratrice del Fatto , che aveva a lungo ritenuto di firmare i suoi articoli con il nome di “Ipazia” (scelta ambiziosa, Ipazia fu una matematica dell’antichità greca considerata un simbolo della libera espressione). L’autrice ha deciso un mese fa di svelarsi come Elena Basile, ex ambasciatrice italiana in Svezia e in Belgio, ma nessuno ci aveva fatto molto caso, fino ai giorni scorsi. E poiché tra chi leggeva i suoi articoli c’era stato chi li aveva trovati eccessivamente indulgenti nei confronti dell’invasione russa in Ucraina, il conflitto tra il suo ruolo diplomatico e queste sue posizioni è stato molto criticatoper esempio sul Foglio.

“Apprezza le posizioni sulla guerra di Orbán, ce l’ha con la Nato e con i “media mainstream” che “tifano per la guerra mondiale”, è indignata per “l’impoverimento del dibattito pubblico”, adesso si sente vittima di “un nuovo fascismo” della “élite incattivita” che “si getta come un branco su chi dissente, su chi si scosta dal pensiero unico occidentale”, denuncia “la propaganda dei dem Usa” che avrebbe “cambiato antropologicamente la società”. Elena Basile, sul suo profilo Linkedin, si definisce scrittrice di narrativa e commentatrice di politica internazionale. Su quello Facebook aggiunge pure “creator digitale” (sul digitale non è stato possibile verificare, ma sul creator abbiamo diversi riscontri, soprattutto nel campo dello storytelling).

Non manca mai di aggiungere nei suoi profili pubblici “Ambasciatrice di Italia in Svezia e in Belgio”, anche se in realtà sarebbe più corretto scrivere ex: prima a Stoccolma, dal 2013 al 2017, e poi a Bruxelles, fino al 3 aprile del 2021. In effetti la carriera diplomatica di Basile è d’imbarazzo in queste ore nei corridoi della Farnesina: ieri lei stessa, sul suo profilo Twitter, tra la foto di un gattino e un selfie, ha svelato di aver scritto “molti articoli col pseudonimo Ipazia” su un giornale perfettamente in linea con le sue idee: il Fatto quotidiano. Il punto è che per un diplomatico è vietato commentare notizie d’attualità, politica estera e geopolitica per una ragione facilmente intuibile: la professione dell’ambasciatore è, o dovrebbe essere, super partes, e c’è una linea sottile tra politica e diplomazia ben chiara a chiunque abbia superato l’esame di stato. E dunque Ipazia, cioè Basile, avrebbe dovuto chiedere un permesso al ministero degli Esteri per vergare articolesse, un permesso mai giunto a destinazione, a quanto risulta al Foglio. Ma c’è di più: perché Elena Basile non scriveva soltanto con il nom de plume di Ipazia su un quotidiano, i suoi commenti erano pure sui suoi social network personali. Per esempio, il 16 giugno del 2022, scriveva di sperare che “gli invasati fanatici odierni si documentino e non temano la verità” a commento di un articolo di Sallusti del 2015 dal titolo “In Ucraina un golpe chiamato Obama”. Sempre un anno fa commentava la frase di Papa Francesco (“l’abbaiare della Nato ha facilitato l’aggressione di Putin all’Ucraina”) con la fine analisi: “Verità o menzogna? Gridiamolo in coro insieme al Papa: VERITÀ. Questa è libertà di espressione””.

Basile ha risposto sul Fatto sabato.

“Trovo divertente che chiunque si discosti dal vangelo dei democratici Usa sia tacciato di spionaggio o di collusione col nemico: la Russia. Sarebbe molto facile ribaltare l’accusa e chiedere quanti politici, diplomatici e soprattutto giornalisti sono costretti a tradire la propria coscienza e ripudiare la verità per mantenere ruoli di prestigio e di influenza, o anche solo il posto di lavoro. Non scambiatemi, per favore, per una moralista! Sono stata nell’establishment, un’ambasciatrice lo è automaticamente. Ho scoperto che tanti politici, giornalisti, imprenditori, diplomatici con cui ero in amicizia mi esprimevano idee non dissimili dalle mie, ma solo “in bilaterale”. Quanti avrebbero voluto la fine della tortura di Assange! Capivo bene che in pubblico non avrebbero ripetuto le stesse idee. Anch’io, senza mai mentire, ho peccato di omissioni. È comprensibile non esporsi anche solo per quieto vivere. Non è giustificabile invece che nelle democrazie europee i cittadini siano forzati all’autocensura”.

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