domenica 21 Maggio 2023

Non si può

Il sito del magazine Interview ha pubblicato un’affascinante conversazione della propria “senior editor” Taylore Sacarabelli (la caporedattrice, in sostanza) con Robin Givhan, una delle più stimate giornaliste e critiche di moda internazionali, vincitrice di un premio Pulitzer, al Washington Post da 25 anni con una breve pausa. La conversazione è dedicata alla limitata possibilità contemporanea di fare un giornalismo di moda capace di essere “critico” (nel senso della “critica” culturale), per un inevitabile – Givhan non lo condanna, ne prende atto – stato di dipendenze dei giornali maggiori dai ricavi pubblicitari della moda e dei giornalisti di moda dalla promozione dei brand e degli stilisti. Queste sono alcune delle considerazioni di Givhan e Scarabelli:

“Un’enorme parte del problema è che chi scrive di moda è parte dell’ecosistema della moda”.

“le uniche volte che ho potuto essere sincera e onesta sono quando ho scritto per pubblicazioni indipendenti molto piccole che non hanno inserzionisti. Da editor di una rivista di moda, non posso più dire le cose che potevo dire prima. Ma anche in giornali come il New York Times vedo che le persone sembrano autocensurarsi”.

“Di questi tempi sembra che sempre più gente sia interessata alla moda, nel senso di moda come intrattenimento, moda come sport o altro. Ma forse c’è meno spazio per la critica della moda come quella per cui tu sei diventata nota, ovvero parlare di moda rispetto a un contesto più ampio, nelle sue relazioni più generali con la politica o con la cultura”.

“Come ci si crea una voce all’interno di un sistema che è governato dagli inserzionisti?
Sinceramente, non so se si possa. Credo che se vieni assunta per scrivere per un giornale la cui filosofia è celebrare il business della moda, è per fare quello che tu firmi il contratto”.

“Non si può diventare un critico interno del sistema della moda”.

Ne ha scritto con maggiori commenti Andrea Batilla, studioso ed esperto di moda, sul suo account Instagram.

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