domenica 12 Novembre 2023

Meno fondi pubblici

La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) è nata nel 1950: ne fanno parte molte aziende giornalistiche italiane (comprese le più grandi e influenti, con maggior potere) e si occupa di tutelare gli interessi dei propri associati. Il suo presidente Andrea Riffeser Monti – editore del gruppo Monrif che pubblica Resto del CarlinoNazione Giorno – è al suo terzo mandato ed è in carica dal 2018. La FIEG si occupa tra le altre cose anche di rappresentare gli editori con il sindacato unico dei giornalisti e con il governo: in quest’ultimo caso soprattutto sui finanziamenti pubblici e sulle agevolazioni per l’acquisto della carta. Nelle ultime settimane il Consiglio dei ministri ha presentato il disegno di legge di bilancio (cioè il documento che indica come verranno spesi i soldi pubblici nei prossimi tre anni): e tra i cambiamenti c’è la cancellazione del “Fondo straordinario a sostegno dell’innovazione nell’editoria”, che era stato di 90 milioni nel 2022 e di 140 milioni nel 2023. Il sottosegretario all’editoria Barachini (la persona che nel governo si occupa dei rapporti coi giornali) ha spiegato che il fondo è da considerarsi esaurito perché: «varato a sostegno dell’editoria nella fase emergenziale del Covid»: lo stato dovrebbe comunque garantire almeno 90 milioni che andrebbero a far parte del nuovo “Fondo unico per il pluralismo e l’innovazione digitale dell’informazione e dell’editoria”, sostituendo il “Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”. La FIEG se ne è lamentata, dicendo che la riduzione dei fondi rischia: «di vanificare gli importanti interventi esistenti per sostenere il passaggio al digitale», chiedendo di lasciare inalterato «il livello di sostegno al settore per il tempo necessario a garantire la difficile transizione digitale e continuare a garantire l’elevato standard di qualità dell’informazione professionale, la salvaguardia dei livelli occupazionali e delle retribuzioni e rafforzare il presidio contro il proliferare delle false informazioni». In questo contesto bisogna considerare che la transizione al digitale dei giornali è iniziata oltre 25 anni fa.

C’è però anche un’altra parte della storia, raccontata una settimana fa con molto approfondimento (e polemica) in un articolo sul Corriere Romagna , quotidiano che è pubblicato da una cooperativa. Ed è che la FIEG, come dicevamo, rappresenta soprattutto gli interessi degli editori dei grandi giornali, e le sue richieste e le nuove scelte del governo stanno danneggiando in questi anni molte cooperative e non profit che verrebbero escluse dal grosso dei contributi. L’articolo elenca i molti modi in cui i maggiori quotidiani (dal Corriere della Sera, al Sole 24 Ore, al Fatto) accedono a compensi pubblici e cita le rimostranze delle testate più piccole e senza editori potenti, poco note al grosso dei lettori che della questione ricevono informazione solo attraverso i quotidiani più importanti.

“In pochi anni il nostro Paese è passato dal furore paranoico di cancellare ogni tipo di sostegno ai piccoli e medio-grandi giornali no profit (cooperative di giornalisti ed enti morali) al furore opposto di erogare ingenti risorse pubbliche, senza alcun controllo sul loro utilizzo, a quelli che un tempo la politica mainstream chiamava enfaticamente “giornaloni”, ovvero quotidiani e periodici della famiglia Agnelli-Elkann, della Rcs e di Urbano Cairo, della famiglia Caltagirone o di Confindustria, solo per citare qualche nome”.

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