domenica 11 Luglio 2021

Mandare in pensione i giornalisti

C’è una questione accessoria ma concretissima, che riguarda l’eventuale ricambio generazionale nelle redazioni dei giornali italiani: avevamo riassunto qualche mese fa i guai dell’INPGi, l’ente di previdenza che si occupa dei contributi pensionistici per la professione dei giornalisti. L’ente è in crisi da diverso tempo e ne è stato disposto il commissariamento, che dal 2019 è già stato prorogato tre volte. L’ultima proroga è scaduta a fine giugno, ma nel decreto sostegni bis approvato venerdì dalla commissione Bilancio della Camera è stata inserita un’ulteriore proroga fino a fine 2021 (e non dovrebbero esserci nuove modifiche nei prossimi passaggi alle Camere). Il bilancio del 2020 dell’Inpgi è stato chiuso con un passivo di 242,2 milioni sulla gestione patrimoniale, e anche su quella previdenziale c’è un grosso buco (di oltre 188 milioni di euro), visto che l’Inpgi ha pagato nell’ultimo anno pensioni per oltre 564 milioni di euro, incassando dai giornalisti iscritti contributi per soli circa 376 milioni. La situazione dell’Inpgi riflette lo squilibrio tra la popolazione di giornalisti più anziana e privilegiata, abituata a stipendi e pensioni che erano possibili in tempi migliori, e quella più giovane e precaria che nella crisi attuale difficilmente ottiene contratti stabili, e quindi anche la possibilità di iscriversi all’Inpgi stesso: il risultato è che il numero di chi paga i contributi continua a ridursi, mentre aumentano i pensionati.

A proposito di questa storia c’è un’ulteriore notizia che coinvolge anche l’Inpgi 2, la gestione separata dell’Inpgi a cui sono iscritti i giornalisti che lavorano come autonomi, cioè i freelance o quelli che hanno contratti di collaborazione con le testate, e che guadagnano mediamente molto meno rispetto a quelli iscritti all’Inpgi 1: il reddito medio dei freelance è intorno ai 15.600 euro all’anno, poco meno di 9mila all’anno quello dei collaboratori, mentre quello dei giornalisti assunti è di circa 60mila euro annuali. La notizia, emersa da un’interrogazione parlamentare del 17 giugno scorso e descritta in un recente articolo del Fatto Quotidiano, è che l’Inpgi starebbe cercando di far confluire gli immobili di sua proprietà in una SICAF, una società di investimento a capitale fisso (attualmente si trovano nel Fondo Amendola, di cui l’Inpgi è l’unico azionista), per fare in modo che le quote di questa società vengano acquistate al 51 per cento dall’Inpgi 2, le cui casse godono invece di buona salute (il restante 49 per cento rimarrebbe all’Inpgi 1). L’obiettivo sarebbe unire le risorse delle due casse previdenziali, cioè gli immobili dell’Inpgi 1 e la liquidità dell’Inpgi 2, per provare a fare investimenti che aumentino il valore di quegli immobili e poi rivenderli, con l’idea di ristrutturare il buco nel bilancio dell’Inpgi 1. L’operazione è considerata dal Fatto potenzialmente molto rischiosa, e se dovesse andare male potrebbe compromettere anche le risorse economiche dell’Inpgi 2. Nell’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Elio Lannutti – ex M5S, ora al Gruppo misto, a lungo giornalista – si chiede «se si ritenga necessario intervenire per scongiurare l’ennesima manovra non risolutiva, che rischia di compromettere anche le casse in salute dell’Inpgi 2».

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