domenica 26 Marzo 2023

Le cose si fanno tristi

Il sito NiemanLab ha pubblicato un’interessante riflessione intorno a una ricerca scientifica compiuta da un gruppo di studiosi dei media di diverse università internazionali. La ricerca ha attinto a una mole enorme di articoli del sito Upworthy (un sito americano di news che ebbe per qualche anno una grandissima popolarità pubblicando news confezionate in modo da evocare reazioni emotive volte – nella tesi dei suoi creatori – a “rendere il mondo migliore”), la cui natura e ricchezza li ha resi un ottimo bacino per l’indagine: indagine volta a capire quanto l’uso di termini “negativi” o “positivi” influenzi la possibilità che i lettori clicchino su un determinato titolo per leggere l’articolo (esempi di parole negative: “preoccupante”, “colpisce”, “ira”; positive: “avvantaggia”, “bello”, “preferito”). Il risultato più evidente è che i termini “negativi” aumentano del 2,3% questa possibilità rispetto a quelli “positivi”. Questa scoperta non è una novità, scrive Joshua Benton su NiemanLab: già la psicologia evolutiva aveva spiegato che gli umani sono più preoccupati di essere informati dei pericoli che delle opportunità o buone prospettive, per ragioni di sopravvivenza. Ma averla concretizzata in dati relativi alle news online è comunque una declinazione utile e rivelatrice del concetto: sottolineando che la differenza percentuale è comunque piuttosto limitata.

In più, la ricerca articola le parole nei titoli in quattro categorie di emozioni evocate più definite: rabbia, paura, gioia, tristezza. E stando ai dati raccolti, è la tristezza a rendere più probabile il click su un titolo, anche se in percentuali sotto l’1% e non così significative. Forse il dato più convincente è quello più generale di tutti, per cui un sito come Upworthy – famoso per i suoi titoli lunghi composti da due frasi – ottiene un “click through” medio (quanti clic per ogni visualizzazione di un titolo) di appena l’1,39%.

– Luca Sofri: Paura e zizzania

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