domenica 5 Maggio 2024

La ciàt

Alla fine della settimana prima di questa era stata ripresa da alcuni articoli in Italia una storia relativa a una chat su Whatsapp creata per il 25 aprile dall’ex direttore della Stampa (oggi editorialista di Repubblica ) Massimo Giannini, e che aveva raccolto desideri di opposizione politica da diversi partecipanti famosi. Alcune testate giornalistiche avevano rivelato e preso in giro le comunicazioni che la chat aveva ospitato (Linkiesta due volte, il Foglio), altre più di destra le avevano offerte ai propri lettori o si erano indignate con meno senso dell’umorismo: Il ministro Salvini ne aveva persino fatto uno dei suoi frequenti casi di vittimismo. La chat era diventata intanto protagonista di alcune puntate del programma televisivo Otto e mezzo.
Tanto è diventata argomento di polemiche e sorrisi soprattutto tra i giornalisti che sabato ha scelto di scriverne persino il giornale stesso di Giannini, Repubblica, con un articolo di Stefano Cappellini capace di non sottrarsi a sua volta a qualche battuta e di farci sopra qualche considerazione di maggior spessore.

“Sarebbe facile dire che in meno di 48 ore la chat 25 aprile ha riprodotto in cattività alcuni dei difetti naturali della sinistra, frazionismo, benaltrismo, velleitarismo, più una inevitabile spruzzata di vanità e di logorrea che con i suoi discorsi seri e inopportuni fa sprecare tutte le occasioni (qui il comico Dario Vergassola ha piazzato una delle battute meglio riuscite: “Siamo più di 900 partecipanti, a mille partono le scissioni”). Da antologia ceccarelliana il momento in cui, pochi minuti dopo un intervento di Fausto Bertinotti, Romano Prodi ha abbandonato il gruppo. Ma la verità è che la chat di Giannini racconta un fatto importante: quanto solo e disperato si senta il popolo della sinistra italiana senza distinzioni di ceto, censo, professione, genere e grado di radicalismo o moderazione. Tanto solo e disperato da aggrapparsi a una chat di auguri come a una scialuppa, una zattera della Medusa. Persone che hanno voglia di fare qualcosa perché sentono che nessuno dei partiti chiamati a farlo glielo chiede e, se anche glielo chiedesse, non avrebbe l’autorevolezza o la credibilità per toccare le corde che un semplice messaggio d’auguri ha saputo smuovere. Enrico Mentana ha abbandonato presto il gruppo sostenendo che il suo mestiere è un altro, posizione più che rispettabile, e ha aggiunto che a fare l’opposizione ci sono già sei partiti. Vero, ma il problema è proprio questo: questi partiti, per ragioni molte diverse, non riescono a fare il loro mestiere, non lo sanno fare, in qualche caso non lo vogliono fare. Dunque, se non fosse che la domanda potrebbe eccitare la componente leninista, la domanda è: che fare?”.

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