domenica 22 Giugno 2025

Dalla parte del potere in India

Durante i giorni dei bombardamenti fra India e Pakistan, a inizio maggio, l’informazione televisiva indiana ha mostrato il suo lato più estremo, abbracciando in modo acritico l’ipernazionalismo in toni trionfalistici. Sulle maggiori televisioni in quei giorni sono state annunciate una serie di notizie enormi e totalmente false, come l’arresto del capo dell’esercito pakistano, presunto preludio di un colpo di stato; l’ingresso di forze armate di terra indiane in Pakistan; la distruzione di varie città pakistane: il tutto accompagnato da immagini provenienti in realtà da altri luoghi di guerra, come Gaza o il Sudan, e da grafiche bellicistiche.
I media indiani in questi anni si sono allineati perlopiù alla retorica e alla narrativa del governo nazionalista e induista del Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi, che governa dal 2014. Anant Nath, direttore del mensile di giornalismo d’inchiesta e approfondimento Caravan (uno dei pochi ancora critici col governo), dice che le aziende editoriali lo hanno fatto sia per opportunità che per timore. Ci sono state in questi anni ricorrenti intimidazioni, con accuse di sedizione e attacco alla sicurezza e all’unità nazionale, ma anche inchieste giudiziarie legate a presunte irregolarità economiche (un metodo usato anche per gli oppositori politici). Altre volte giornali e televisioni hanno proceduto ad autocensurarsi, o hanno fatto scelte basate su calcoli commerciali. Le televisioni competono per l’ampio pubblico di ispirazione conservatrice e nazionalista, i giornali dipendono spesso dalle inserzioni pubblicitarie del governo, nazionale o statale: «Lo Stato ha un budget enorme, non paragonabile a quello di nessuna azienda, per fare pubblicità sui giornali. Basta sfogliare un quotidiano per vederlo».

Anche sull’ Indian Express, uno dei meno compromessi, in un giorno normale almeno il 70 per cento delle pubblicità è pagato da fonti istituzionali. Anche quando non ci sono arresti dimostrativi (soprattutto dei giornalisti meno tutelati, che operano sui social media) o lunghe cause legali dai costi altissimi, solo il rischio di perdere quelle pubblicità per notizie sgradite «basta per restare allineati». Altre volte, dice Nath, c’è anche un’adesione ideologica al progetto di Modi e del BJP: «La gran parte degli editori è di centro o di destra e convinta della necessità di uno stato non laico, ma induista». Caravan ha una lunga storia (nacque nel 1940, chiuse nel 1988, ha riaperto nel 2009), fa parte di un’azienda editoriale indipendente e oltre al mensile cartaceo ha un sito con paywall, ad abbonamento.

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