domenica 17 Gennaio 2021

Chi paga la disinformazione

Il sito americano Axios ha ripreso e descritto un’analisi di Newsguard – un servizio internazionale di verifica dell’accuratezza sui siti di news – che mostra come i meccanismi della pubblicità online facciano sì che molti inserzionisti anche importanti abbiano le proprie pubblicità inserite in siti di riconosciuta e pericolosa falsificazione, e quindi contribuiscano economicamente a promuovere notizie false (in questo caso sui risultati elettorali americani, di quelle che poi alimentano gli assalti al Campidoglio). Questo avviene perché la gran parte dei banner pubblicitari che vediamo online sono gestiti da reti che evitano il rapporto diretto tra sito e inserzionista (quella di Google, Google Ads, è la più usata) e distribuiscono le pubblicità su molti siti che si limitano ad accettare il servizio per ottenerne ricavi economici (molto esigui, e questo è un problema più ampio di cui abbiamo parlato altre volte). Si chiama pubblicità “programmatic“.

Sia gli inserzionisti che i siti possono stabilire dei limiti e dei filtri – gli uni sui siti in cui comparire e gli altri sulle pubblicità da ospitare – ma molto permeabili, e soprattutto gli inserzionisti hanno pochissima contezza di quali siti finanzino (e quasi sempre se ne disinteressano, fin tanto che i loro banner raggiungono i numeri di occhi promessi). La questione riguarda anche i siti di news e gli inserzionisti italiani: prendiamo per esempio un sito che dice che i lockdown non servono e che promuove come veri una storia notoriamente falsa sui vaccini o un video di medici richiamati dall’Ordine dei medici; queste cose sono prodotte, diffuse e lette grazie ai ricavi economici ottenuti, per esempio, da TIM, Sky, oppure – attraverso gli spazi famigerati gestiti dal network Outbrain – Tezenis e Vodafone.

“La disinformazione è alimentata e finanziata da ricavi pubblicitari ricevuti dai maggiori brand”, dice Newsguard (che offre servizi a pagamento come proprio modello di business), suggerendo ai brand suddetti di affidarsi a concessionarie pubblicitarie con criteri di selezione non solo automatizzati e chiedendo ai network “programmatic” di progettare criteri più stringenti.

Charlie è la newsletter del Post sui giornali e sull'informazione, puoi riceverla gratuitamente ogni domenica mattina iscrivendoti qui.