domenica 26 Giugno 2022

Charlie

Una pagina di un grande quotidiano italiano questa settimana era dedicata a un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani, ma lo spazio maggiore e la titolazione riguardavano le risposte che gli intervistati avevano dato a una serie di richieste di previsioni politiche: “lei crede che l’uscita di Di Maio rappresenterà per il Movimento 5 Stelle… [il colpo di grazia, un incidente di percorso, una scossa]?”, “secondo lei quali conseguenze avrà questa scissione del Movimento 5 Stelle per il futuro del governo Draghi?”.

Se ci fermiamo a considerarle, queste sono le domande che di norma si fanno i lettori, e di cui cercano risposte sui giornali. È interessante e sintomatico che siano i giornali a chiedere le risposte ai lettori e che accolgano le loro opinioni (non su quello che i lettori sanno – il loro voto – ma su quello che possono immaginare senza particolari elementi) e ne facciano una notizia: tutto rischia di somigliare ancora a questa barzelletta . Ma soprattutto è sintomatico della sempre maggiore attitudine di molti giornali non solo a “dare ai lettori ciò che vogliono” – rinunciando alla propria responsabilità, già limitata dalla necessità di dare agli inserzionisti ciò che vogliono – ma anche a rendere sempre di più le persone ispiratrici e creatrici del dibattito: cosa che avviene per esempio con l’attingere sempre più frequente ai contenuti pubblicati sui social network, o col rendere significative esperienze normalissime (il mese scorso un quotidiano ha intervistato una persona nata il giorno in cui venne ucciso Giovanni Falcone: “Io, venuto al mondo mentre Falcone moriva”). Un po’ come è avvenuto con la moda, che ha appaltato alle “persone qualsiasi” la creatività e l’ha chiamata streetwear abdicando al proprio ruolo di guida e sapienza, l’informazione ospita sempre di più un circolo per cui le esperienze, emozioni e opinioni “normali” diventano protagoniste e tornano sotto forma di news ai loro ispiratori, che ne vengono informati, formati e a loro volta ispirati, in un doppio specchio che rischia di vedere diminuire molto le scelte diverse e le innovazioni culturali in genere. Il che non significa che non ci siano ancora momenti di leadership e innovazione culturale sui media, ma teniamo d’occhio quanto vengano rosicchiati.

Fine di questo prologo.

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