domenica 6 Luglio 2025

Charlie, salvare i giornali ma non il giornalismo

Tre degli otto quotidiani nazionali a maggiore diffusione meritano un paio di pensieri laici dedicati alle loro scelte e al loro ruolo nella diffusione di informazioni in Italia. Sono quelli che, apertamente e rivendicandolo, dedicano la gran parte del proprio impegno giornalistico a sostenere e difendere la maggioranza di centrodestra attualmente al governo. Fra i tre ci sono forti legami e relazioni: due sono di proprietà di un deputato della stessa maggioranza (che ne ha comprato uno dalla famiglia dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi), il terzo è stato fondato ed è posseduto da un ex direttore degli altri due.

Benché, come detto, siano il sesto, settimo e ottavo quotidiano nazionale per diffusione, il totale delle loro copie quotidiane supera di poco quello della Stampa da sola, ed è lontano da quello di Repubblica . Ma la loro influenza va assai oltre il numero di copie: i tre giornali producono ogni giorno buona parte dei contenuti usati a scopo di propaganda dai partiti di governo, dai loro parlamentari, dai loro account sui social network, dalle trasmissioni televisive più vicine alla maggioranza stessa (sia sulla Rai di controllo politico che sulle reti tuttora della famiglia dell’ex presidente del Consiglio: famiglia che sostiene economicamente uno dei partiti della maggioranza).

A loro volta, questi contenuti sono una scelta commerciale e strategica particolare: è infatti un po’ fuorviante l’espressione che abbiamo usato qui sopra, ” sostenere e difendere la maggioranza di centrodestra”. Il criterio di composizione di gran parte delle pagine dei tre quotidiani (soprattutto le prime pagine, ma anche quelle di sezioni impensate) è infatti quello di individuare formulazioni spregiative e accuse di ogni genere nei confronti di un gran numero di declinazioni di un’idea grossolana di “sinistra”: scegliendo per questo tutta una creativa serie di varianti linguistiche per attribuire ogni nefandezza immaginabile a una massa indistinta di persone “di sinistra”, radunata in un unico grande disegno ai danni dei lettori e delle lettrici di quei giornali. “I compagni”, “i rossi”, ma poi “l’ideologia verde”, “l’ideologia gender” (“ideologia”, che vuol dire sistema di pensieri, è una parola di cui è stato stravolto il senso in direzione negativa), i “woke”, “le toghe rosse”, i “buonisti”, “le coop”, “i progressisti” e naturalmente “il PD”, “Elly”, “i dem”, persino “il soviet”, e molti singoli personaggi (donne, in gran parte) esibiti al disprezzo dei lettori e delle lettrici. E come ultima possibilità, una generica terza persona plurale priva di soggetto evocativa di traffici e complotti.

Questo criterio prevale su ogni altro, ed è una “linea” analoga e speculare a quelle, derise nel secolo scorso, dei giornali di partito: accusati di costruire acrobatiche formulazioni per difendere qualunque scelta del partito di riferimento. Ma è analoga e speculare per una ragione: ed è che il meccanismo identitario che mira demagogicamente a compiacere il pubblico – oggi prioritario in ogni comunicazione e promozione, in politica e nelle aziende giornalistiche – ha come strumento vincente l’indicazione di un nemico verso cui creare e indirizzare risentimenti e indignazioni, dando a tutti noi ragioni di insoddisfazione e capri espiatori verso cui sfogare quell’insoddisfazione (un quarto quotidiano, il quinto per diffusione, adotta gli stessi criteri demagogico-commerciali, ma indicando nemici in tutto l’arco costituzionale a eccezione del M5S).

La domanda, per questa newsletter è (accantonando le eventuali valutazioni morali ed etiche su questa idea di giornalismo): è una strategia che paga? I dati dicono che le testate in questione hanno perdite di copie annuali nella media nazionale: il che significa che il criterio suddetto ottiene consensi proporzionati ai posizionamenti meno bellicosi adottati da altre testate per compiacere i propri lettori, o a più tradizionali scelte di informazione dei lettori. Mentre è visibile che la prossimità al governo e al suo potere abbia portato ai quotidiani che lo sostengono quote inedite di provvidenziali investimenti pubblicitari, anche da aziende che prima guardavano gli eccessi di quei giornali con circospezione e cautela.

Fine di questo prologo.

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