domenica 20 Novembre 2022

Charlie, quello che è normale

Ci sono due modi per giudicare le cose che succedono in Italia. Uno è basarsi su criteri esterni e universali, e paragonarle con quello che succede in altri paesi con cui siamo abituati a sentirci “simili”: e nella maggior parte il risultato è piuttosto deludente. Un altro è farsi una ragione di un contesto e di una storia e di fattori che rendono implausibili quei paragoni, e concedere quindi ai limiti e alle inadeguatezze italiane alibi o scusanti maggiori, o persino rallegrarsi di successi visibili se confrontati con quelli di altri generi di paesi. Insomma, bicchieri mezzo vuoti o mezzo pieni.
Vale anche per i giornali: a volte qualcuno – a proposito, grazie a tutti: sembra che Charlie sia sempre più letto e familiare per molti, sia che siano lettori o giornalisti – a volte qualcuno, dicevamo, trova che su alcune cose segnalate da Charlie gli standard siano di troppe pretese, le asticelle troppo alte. Alcune anomalie che segnaliamo sono infatti condizioni abituali del lavoro giornalistico come lo concepiamo qui, e hanno ragioni culturali, storiche ed economiche che le spiegano. Ma questo non significa che non possa essere interessante o utile darsi dei modelli migliori per il ruolo dell’informazione come lo intendiamo: ovvero quello di far capire la realtà e di far funzionare affidabilmente le comunità rendendole più informate. Avendo questi obiettivi come priorità.
È quindi certamente “normale”, sì, per alcuni giornali italiani, che si diano pagine intere per più giorni alla settimana alla promozione delle aziende degli editori e ai loro interessi, e può darsi che i lettori ci siano abituati abbastanza da prenderle con la giusta consapevolezza e distacco. E sono “normali” gli spazi dati a dichiarazioni insignificanti o alle fotografie degli editori stessi, o ad articoli offerti alla celebrazione acritica degli inserzionisti e pubblicati senza nessuna trasparenza coi lettori. Per non dire di quanto siano “normali” le assenze di rigori di verifica e accuratezza tipici invece del giornalismo autorevole angloamericano. I giornali sono aziende private che decidono in autonomia quale servizio offrire. Ma è anche giusto raccontare che presso i quotidiani “seri” dei paesi democratici con cui ci confrontiamo si fanno le cose diversamente, in altri modi. Culture diverse, forse, o scelte diverse.

Fine di questo prologo.

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