domenica 15 Giugno 2025

Charlie, presunzione di colpevolezza

Alle contraddizioni delle scelte etiche nel giornalismo italiano ci si può abituare, ma non è una buona ragione per dimenticare che sono contraddizioni. Il rapporto con la presunzione di innocenza è una di queste, e l’inesistenza della presunzione di innocenza nella cultura popolare italiana si deve da una parte a delle inclinazioni umane di non grande civiltà, ma dall’altra al fatto che chi dovrebbe trasmettere modelli di maggiore civiltà non si comporta diversamente da chi ignora i principi essenziali del diritto e della convivenza.
Gli esempi sono quotidiani, e vengono affrontati – poco affrontati – solo quando poi si rivela una reale innocenza, e quando le colpevolezze promosse dai media si dimostrano false. Ma la presunzione di innocenza si chiama così perché prescinde dalla dimostrazione di innocenza o colpevolezza dei soggetti. E se si può accettare con rassegnazione (si può?) che i giornali adottino dei linguaggi che la trascurano in alcuni casi (non tutti) di rei confessi, di fatti già dimostrati, di sentenze di condanna in primo grado, resta impressionante la leggerezza con cui testate importanti titolano invece “arrestato il killer” gli articoli che spiegano che una persona è accusata di un reato ancora molto misterioso, in cui la stessa accusa non è ancora chiara. E se si confermerà quell’accusa, non sarà una buona ragione per dirsi di avere fatto bene: di nuovo, la “presunzione di innocenza” non si applica col senno di poi. E quindi diventa rassicurante quando qualcuno decide dopo qualche ora di correggerlo quel titolo, in “arrestato l’uomo sospettato”.

Fine di questo prologo.

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