domenica 28 Maggio 2023

Charlie, non conta solo il campo

Dieci giorni fa il New York Times ha comunicato di voler introdurre l’opportunità di rendere più ricche, chiare e articolate le “bylines” e “datelines” all’inizio dei propri articoli: sono gli spazi che ospitano abitualmente le informazioni sull’autore (“by”), sulla data e sul luogo di produzione dell’articolo, e che sono usati con qualche variazione nei giornali di tutto il mondo. È capitato spesso che dall’interno delle redazioni ci fossero perplessità, per esempio, sulle indicazioni o meno del luogo da cui un articolo è scritto, che non necessariamente coincide con quello in cui sono avvenuti i fatti raccontati (nei giornali italiani è a volte usato “dal nostro inviato” senza indicare dove; e l’inviato non sempre è nello stesso luogo rispetto a quello di cui scrive).
Adesso il 
New York Times torna a voler sfruttare maggiormente quegli spazi per indicare ai propri lettori (che spesso, dice l’annuncio, non distinguono esattamente il senso di quelle informazioni) qualcosa di più su chi e come ha prodotto l’articolo: per promuovere i propri investimenti nell’avere autori competenti ed esperti, e per averli spesso “sul campo”. Potrà capitare insomma che gli articoli siano preceduti da un breve testo che dica di più di una semplice firma.

Qualunque informazione che completi e chiarisca è sempre utile: quello che forse andrebbe detto ai lettori – ma è normale che le intenzioni autopromozionali del New York Times lo trascurino – è che avere inviati che raccontino le cose là dove le cose avvengono e sono avvenute è sicuramente un’offerta preziosa e a volte unica, ma non implica per forza una qualità maggiore del risultato giornalistico e non deve diminuire il valore del lavoro di chi è in grado di raccontare e spiegare efficacemente i fatti dall’interno di una redazione o da un luogo diverso: facendo telefonate, usando con oculatezza e verifica le fonti online, documentandosi, attingendo a informazioni che provengono da luoghi e ambiti i più vari. Ci sono molti fattori che concorrono a un buon lavoro giornalistico – primo tra tutti la bravura e l’etica del giornalista – che sono estranei a da dove il giornalista si trovi. E ci sono fatti e notizie da spiegare di cui si può conoscere e capire molto di più con una buona connessione e una sapienza nel gestire e verificare le informazioni, che non trovandosi per strada in condizioni privilegiate per molti eccezionali reportage ma limitanti per altri. Sarebbe bello che alcuni articoli del New York Times fossero preceduti da una approfondita byline che dica: “Steve Jones ha scritto questo articolo sulla candidatura di Ron DeSantis dalla sua disordinata scrivania nella redazione newyorkese del giornale dove lavora quotidianamente dopo aver vissuto in Florida negli anni passati seguendo la politica locale e costruendo relazioni e contatti con lo staff del governatore”.

Fine di questo prologo.

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