domenica 2 Novembre 2025
Sul Corriere della Sera di mercoledì Goffredo Buccini – esperto giornalista da quasi quarant’anni al Corriere – ha ragionevolmente commentato una delle molte volatili polemiche politiche che vanno e vengono ogni settimana, quella sul giudizio del “garante per la privacy” (che è un istituto collegiale, non una persona, come ingannevolmente hanno suggerito molti titoli) nei confronti del programma televisivo Report. «Una baruffa forse inutile come tutte quelle in cui ciascuna fazione resta sulla sua sponda», l’ha definita Buccini. Che però ha fatto una cosa in più, che in quei giorni non ha fatto quasi nessuno (Luigi Manconi, su Repubblica): ha affrontato il merito della questione, ovvero la contestazione contenuta in quel giudizio, valutandola fondata e considerando che Report fosse in torto.
Una ragione per cui queste “baruffe” sono inutili e volatili è che rimuovono strumentalmente i fatti: passano immediatamente sul piano delle partigianerie e dello schierarsi non con le ragioni di una o dell’altra parte ma con l’una o con l’altra parte con cui ci si schiera sempre. E sono sempre di più i giornalisti e i giornali che aderiscono a questo approccio, disarmante ma comprensibile per chi fa propaganda politica e per chi litiga al bar o sui social. Per chi dovrebbe informare, invece, solo disarmante. Negli stessi giorni c’è stata un’altra polemica, tra un parlamentare ungherese con un incarico nel governo e il quotidiano Repubblica. Il parlamentare ha sostenuto che alcuni virgolettati attribuiti da Repubblica al suo omonimo primo ministro Orbán fossero falsi. Repubblica ha ribattuto indignata di “non accettare lezioni”, e ha citato la nota inclinazione alla repressione della libertà di espressione da parte del governo ungherese. Nelle ore successive esponenti dell’opposizione italiana – avversari da tempo e con buone ragioni delle scelte repressive e antidemocratiche di Orbán – hanno protestato per l’attacco nei confronti di Repubblica, chiaramente senza aver neanche valutato le ragioni della critica. Ognuno può giudicare se il virgolettato attribuito a Orbán nel titolo dell’intervista sia coerente con quanto detto nell’intervista stessa, ma il punto qui non è chi abbia ragione o torto in questo caso (Repubblica non ha risposto “in effetti quelle paroleOrbán non le ha dette”, né ha risposto “invece sì che le ha dette”: ha parlato d’altro; Sigfrido Ranucci non ha risposto “abbiamo sbagliato a violare la privacy della persona in questione”, né ha risposto “abbiamo fatto bene a violare la privacy della persona in questione”: ha attaccato le relazioni di un membro del garante). Il punto è che le ragioni e i torti, le difese e gli attacchi, gli schieramenti e le posizioni, non dipendono più dalla verifica dei fatti, nemmeno sui giornali: con rare eccezioni. E dare ragioni di polemica e critica ai peggiori malintenzionati – che siano liberticidi ungheresi, membri interessati del garante, e via discorrendo – è il modo più fallimentare per sconfiggerli e per limitare la credibilità del buon giornalismo, come stiamo vedendo.
Fine di questo prologo.
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