domenica 11 Giugno 2023

Charlie, il prezzo dell’accesso

Tra le cose che possono influenzare l’indipendenza del lavoro giornalistico ce n’è una che non ha a che fare con compromessi e scambi più direttamente commerciali – come quelle di cui capitano spesso esempi qui su Charlie – ma con gli stessi interessi editoriali di testate e giornalisti, con le loro opportunità di fare un lavoro di informazione migliore e completo. È la questione dell’accesso. Per ottenere informazioni, per ottenerle prima degli altri, chi lavora ai giornali costruisce delle relazioni proficue e con vari livelli di intensità: può succedere per avere informazioni sulle inchieste giudiziarie; può succedere per assistere alle sfilate di moda o avere anteprime in quel settore; può succedere per ottenere interviste “esclusive” di personaggi dello spettacolo; può succedere per essere i primi destinatari di dichiarazioni o annunci da parte di politici o responsabili del governo; eccetera. In tutti questi casi, la libertà critica e l’indipendenza di giudizio subiscono delle limitazioni, che a volte vengono richieste esplicitamente e altre volte sono implicite, una sorta di rispettosa e leale autocensura. Cosa fareste se aveste un programma di interviste televisive e vi offrissero un’esclusiva con Bruce Springsteen per promuovere il suo nuovo disco, o con Martin Scorsese per promuovere il suo nuovo film, e riteneste deboli e criticabili l’uno o l’altro? Qualunque sia la vostra risposta, quello che sappiamo è che se non occultaste pubblicamente il vostro giudizio critico difficilmente otterreste d’ora in poi la fiducia degli uffici stampa di ospiti altrettanto importanti. E succede anche su scale molto più ridotte: i politici che vanno ospiti nei programmi televisivi ci vanno spesso a fronte di garanzie – esplicite o implicite – sul trattamento che riceveranno, su quello di cui si parlerà o non si parlerà. La citazione estesissima e superflua dei nomi e delle cariche di pubblici ministeri o ufficiali dei carabinieri all’interno degli articoli di cronaca è una sorta di compenso – ma solo quella più trasparente – nei confronti di chi ha fornito informazioni utili per quegli articoli. Non si mantiene una possibilità di scrivere di moda senza trattenere molti giudizi, non si resta competitivi con le altre agenzie di stampa trascurando le richieste di copertura delle dichiarazioni di questo o quel politico.

Molto lavoro dei giornali si basa su queste inevitabili ma scivolose consuetudini, e sul mantenere equilibri accettabili o meno tra avere accessi privilegiati e precoci alle notizie, ed essere liberi di trattarle con indipendenza. E vale anche per grandi cose: imputati in processi importanti che vogliano presentare la propria versione scelgono a chi proporre un’intervista e ottengono domande concilianti e rispettose, anche da giornali che li avevano sbattuti come mostri in prima pagina; governi che vogliano trovare spazio acritico alla propria propaganda possono farlo semplicemente offrendo “esclusive” e anteprime a una testata piuttosto che a un’altra, in cambio di una confezione indulgente di quelle “esclusive”, anteprime, interviste, dichiarazioni. Non è per servilismo o simpatia che una testata le accoglie, confeziona e titola favorevolmente: è per battere la concorrenza.

Fine di questo prologo.

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