domenica 27 Aprile 2025

Charlie, gli altri

Una vecchia considerazione che bisogna sempre prendere con le molle, sui giornali, è che ai lettori – noialtri e noialtre – interessi la “qualità”: ovvero un giornalismo accurato, obiettivo, imparziale. Questo è vero, in misure diverse, solo per una parte di noialtri e noialtre. L’altro fattore che influenza grandemente l’apprezzamento per l’informazione è quello identitario: c’è una grande domanda – sempre di più in questi decenni polarizzati e in cui l’affermazione di sé è una pratica così sentita – di giornali e giornalisti che ci confermino nelle nostre opinioni, che ci dicano quello che vogliamo sentire, che ci facciano sentire un’appartenenza spesso definita attraverso quello e quelli che escludiamo, nemici, altro da cui essere diversi.

È la ragione per cui il gradimento del pubblico non è una garanzia di buon giornalismo, e per cui non è vero che i giornali che “dipendono solo dai loro lettori” siano indipendenti: appunto, sono dipendenti da un padrone molto sensibile e molto esigente.

Questo tipo di esigenza, sostiene una recente ricerca americana, è più  frequente tra le categorie sociali e umane con meno strumenti economici e culturali, e minor potere (le tre cose vanno spesso d’accordo); e tra i più giovani e quelli che sono abituati a informarsi sui social network. Oltre, naturalmente, a coloro che hanno posizioni politiche più radicali e definite. La ricerca ha chiesto a campioni di vari paesi se preferiscano “ricevere le notizie da fonti senza un particolare punto di vista” o “da fonti che condividano il mio punto di vista”, con le opportune considerazioni sulla sincerità della risposta: in Italia il 57% ha riposto a favore della prima e il 17% a favore della seconda. Numeri abbastanza nella media, anche se quelli dei paesi nordeuropei – che abitualmente consideriamo di maggior progresso civile – hanno quote molto più basse sulla seconda percentuale.

Sono risultati non sorprendenti, ma che è utile definire per realizzare – ancora una volta – che l’impegno maggiore dei giornali che vogliono davvero confermare il proprio ruolo nel migliorare le convivenze e i funzionamenti delle comunità è quello di raggiungere esattamente i potenziali lettori e lettrici meno raggiunti e più lontani, senza venire meno ai propri standard di accuratezza e senza ricorrere a partigianerie che accontentino sempre i soliti destinatari. È difficile, bella scoperta: è difficilissimo. Ma il dannato futuro dei giornali – per un’idea che abbiamo dei giornali – sta lì.

Fine di questo prologo.

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