domenica 9 Marzo 2025

Charlie, giornali o chiese

Martedì scorso la sezione degli editoriali e dei commenti del Wall Street Journal ha pubblicato un articolo dell’ex direttore del giornale Gerard Baker, giornalista di opinioni assai conservatrici, spesso criticabili e ancora più spesso criticate. Ma in quell’articolo prevaleva una riflessione generale sulla perdita di influenza dei giornali e del giornalismo, ovvero delle limitatissime conseguenze del loro lavoro di critica e indagine sulle malefatte del potere: Baker è uno di quelli secondo i quali “costringere i potenti a rispondere dei loro comportamenti, riferendo cose che i potenti non vogliono vedere riferite è il ruolo più importante del giornalismo”, giudizio trasversale e condiviso anche da molti giornalisti progressisti. Secondo Baker questo non succede più, perché la fiducia dei lettori è così calata che “se oggi qualche grande testata svelasse il Watergate, al massimo ci sarebbero qualche indignato editoriale e un paio di audizioni al Congresso”. Baker aggiunge l’esempio maggiore che a suo tempo aveva commentato anche il Post in diversi incontri pubblici e rassegne stampa: il fallimento delle testate statunitensi più autorevoli nell’opporsi all’elezione di Trump. Che sta nella stessa storia dei fallimenti dei giornali italiani aggressivamente antiberlusconiani prima, e antimeloniani oggi. Che condividiate o no le loro posizioni, è impossibile negare che quelle battaglie le abbiano perse e continuino a perderle: al massimo organizzano manifestazioni, mentre le loro accuse non hanno nessuna conseguenza.
Poi è vero che per quei giornali quelle battaglie sono state e sono dei successi commerciali, ma allora appunto è come dice Baker: “Quello che è successo è che le aziende giornalistiche sono cambiate nel loro carattere e nel loro scopo: sono passate da essere da quasi istituzioni legali a quasi istituzioni religiose […] Breviari per congregazioni di credenti. Il loro scopo è confortare la fede dei devoti offrendo rassicurazioni e impartendo lezioni morali”.
Quando decine di migliaia centinaia di migliaia di abbonati al 
Washington Post decidono di cancellare l’abbonamento al giornale perché l’editore ha detto cose che non condividono, vuol dire che il non sentirsi più in sintonia con quello che quella chiesa predica è più importante per loro della qualità del giornale e del suo giornalismo (che è rimasta la stessa). E i giornali che non hanno la fortuna di essere posseduti da miliardari si comportano di conseguenza, evitando i rischi di scontentare i fedeli.

Fine di questo prologo.

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