domenica 1 Giugno 2025

Charlie, errori e non refusi

Un prologo piccolo, oggi, per compensare le impegnative questioni esposte più spesso: piccolo, ma esemplare di un’inclinazione all’autoindulgenza da parte di molti giornali e giornalisti, e della debolezza rivelata dal non saper ammettere gli errori, che capitano. Lo mostra l’uso frequentissimo e forzato del termine “refuso”, per riferirsi a errori sostanziali e spesso colpevoli, anche quando vengono ammessi a fronte di contestazioni argomentate. L’enciclopedia Treccani dà questa definizione della parola “refuso”: «In tipografia, errore di composizione o di stampa prodotto dallo scambio o dallo spostamento di una o due lettere, o segni, causato spesso da errata collocazione dei caratteri nella cassa (per quanto riguarda la composizione a mano), o da errore del tastierista o da difetto meccanico (nella composizione a linotype o a monotype). In senso lato, errore tipografico in genere, o anche di fotocomposizione».
Queste sono la misura e la natura di quello che chiamiamo “refuso”: una lettera in più, una in meno, uno scambio di lettere, la svista di un plurale non corretto, eccetera. Errori di altra dimensione e significato sono invece “errori”, o “sbagli”. Sono informazioni sbagliate o false, che siano avvenuti in buona o cattiva fede. Chiamarli “refusi” è un modo autoassolutorio per minimizzarli, e per minimizzare le legittime richieste di chi ne chiede la correzione e le legittime aspettative dei lettori che si attendono informazioni corrette.

Nelle responsabilità di un giornalismo sicuro di fare del suo meglio c’è anche la capacità di ammettere e definire correttamente le misure e conseguenze dei propri errori e di chiamarli col loro nome.

Fine di questo prologo piccolo.

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