domenica 27 Luglio 2025
In attesa di sviluppi giudiziari definitivi, di sentenze, e di informazioni che abbiano maggior valore delle ipotesi partigiane per definizione dell’accusa, le ultime inchieste sugli amministratori locali stanno ricevendo commenti e giudizi dubbiosi abbastanza diffusi, tra chi non abbia motivazioni di propaganda o faziosità: a molti le accuse sembrano sproporzionate rispetto ai fatti esibiti finora. C’è una cautela a dirlo, la paura di essere smentiti da novità, ma c’è chi lo dice: e chi lo dice con cautela.
Ma la sproporzione delle accuse è tutta responsabilità delle procure, che sono costruttrici di accuse per definizione e sul cui operato è sempre previsto non a caso un giudizio “terzo”? O accanto a quei giudizi e commenti prudenti e scettici incombono cronache che continuano invece a suggerire verità definitive, a fare di ogni contestazione un fascio, e a incentivare indignazioni e scandalo?
Immaginiamo invece un sistema dell’informazione in cui le definizioni di cosa sia il lavoro “dell’accusa” siano chiare e comprese, e un pubblico che sia correttamente informato del valore precario e parziale di un’inchiesta: un paese in cui ci sia consapevolezza, da parte dei media, del valore non insignificante ma limitato e fragile dell’apertura di un’indagine, delle richieste di un pubblico ministero, della suggestiva costruzione delle ipotesi di accusa. Un paese in cui a questa consapevolezza si associ la scelta di renderne consapevoli anche i lettori e le lettrici. E in cui quindi le scelte di spazio, enfasi, linguaggio date a queste notizie siano invece “proporzionate”. E in cui quindi un’indagine legittima, ma con assai varie sfumature di apparente fondatezza venga trattata come tale e messa di fronte ai principi di verifica e scetticismo che il giornalismo si dà in teoria come valori: e che racconta di applicare al “potere”, come è quello giudiziario. E immaginiamo quindi che non avvenga uno sproporzionato e complice racconto dell’esistenza di un’indagine e che non scateni immediatamente clamori e conseguenze che finiranno per gravare sull’indagine stessa e sul suo corretto sviluppo. Immaginiamo un paese di pesi e contrappesi in cui un’istituzione di parte – il pubblico ministero, “parte imparziale” – abbia il suo lavoro moderato da un’istituzione di controllo – i mezzi di informazione – invece che un paese dove al contrario i giornali enfatizzano, amplificano e celebrano con interessato scandalo qualunque cosa precaria, precoce e suggestiva esca dall’istituzione di parte. Immaginiamo un paese normale, cioè.
Fine di questo prologo.
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