domenica 18 Settembre 2022

Charlie, dipende da tutti

Parliamo una volta di chi li legge, i giornali, e non di chi li fa (e di chi li guarda, li ascolta, eccetera: su Charlie chiamiamo per semplicità giornali i molti e vari formati dell’informazione giornalistica): ovvero tutti noi, quella categoria a cui spesso i giornali si riferiscono in terza persona (“i lettori”, “il pubblico”) ma che comprende sempre anche chi parla, dettaglio utile ad attenuare l’effetto ingannevole di masse indistinte e monolitiche.
C’è quel pensiero ormai consueto da decenni – ma aggravato dagli aggravamenti apparenti – per cui le responsabilità di difetti e inadeguatezze dei politici sono da attribuire agli elettori che li votano, nelle democrazie. Pensiero fondato, che può essere applicato anche – con significativa assonanza – ai lettori rispetto ai limiti dei giornali: i giornali tanto criticati esistono perché ci sono lettori che li comprano, e le loro scelte suscettibili di critiche vanno quasi sempre incontro ai desideri verificati dei loro lettori. Certo, le leggi sono quelle del mercato invece che della democrazia – con sensibili differenze – ma a creare l’offerta è indubbiamente in cospicua parte anche la domanda. E benché ognuno di noi annunci – e persino sia convinto – di desiderare un’informazione affidabile, obiettiva, non di parte, a questo criterio ognuno di noi sovrappone in misure più o meno rilevanti la propria capacità di valutazione di cosa lo sia, che è spesso influenzata da opinioni, certezze, pregiudizi e meccanismi identitari che ci portano a credere che a essere imparziale e affidabile sia il giornale che leggiamo noi, ognuno uno diverso: o quello che sogniamo. Siamo i primi a essere poco obiettivi (chi più, chi meno, naturalmente). Poi nel circolo vizioso di offerta di bassa qualità che genera bassa domanda di qualità e viceversa – in politica e nell’informazione – la maggiore responsabilità di interrompere il circolo ce l’ha chi detiene maggior potere: leader politici ed editori. Ma noi lettori siamo persone adulte e dovremmo “put our money where our mouth is” come dicono gli americani, e chiederci a quale tipo di informazione contribuiamo (da clienti, da abbonati, da cliccatori, da inserzionisti), quando ne critichiamo qualcosa.

Fine di questo prologo.

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