domenica 5 Novembre 2023

Charlie, dicerìe

Chi i giornali li legge, li scorre, li sfoglia, li ascolta, li guarda, e segue il lavoro delle redazioni solo nei suoi risultati, deve la sua limitata conoscenza del loro funzionamento soprattutto a certi film o serie americani, che sono la maggiore occasione in cui persino il pubblico italiano vede dei giornalisti al lavoro (poi speriamo che una parte ancora crescente lo debba a questa newsletter, anche). E il rischio è che assuma come pratiche usuali del lavoro delle redazioni quelle che vede in quei film: le cautele nelle scelte di cosa e quando pubblicare, la ricerca di verifiche, la richiesta di trovare più fonti, la scelta di aspettare e rimandare la pubblicazione fino a che non ci siano risposte e conferme, la garanzia che le frasi citate siano attribuibili. Ma sono pratiche proprie del lavoro delle più autorevoli testate statunitensi, e di rari casi in alcuni altri paesi del mondo. Consegnare ai lettori delle informazioni sull’attendibilità delle notizie e delle fonti che le riferiscono, per esempio, è una scelta che non è nella cultura giornalistica italiana, che ha tra i suoi attributi invece una maggiore attitudine (e capacità, a volte) alla narrazione suggestiva e coinvolgente. Lo strumento di questo diverso approccio sono quindi tutta una serie di formulazioni sulle fonti che con un po’ di attenzione ogni lettore può imparare a riconoscere: “le voci che si rincorrono dicono…”, “si sussurra che…”, “i bene informati assicurano…”, “a quanto pare…”, “chi lo ha visto dice che…”, “dicono dalle sue parti…”.

Fine di questo prologo.

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