domenica 6 Novembre 2022

Charlie, dare un’idea

Jay Caspian Kang è un giornalista del settimanale americano New Yorker, una delle riviste giornalisticamente più ben fatte e più ammirate del mondo, e ha pubblicato sul sito un articolo che mette in discussione molta parte del giornalismo contemporaneo. “Mette in discussione” è l’espressione esatta, se la si legge correttamente: spesso viene usata come sinonimo di “critica” o “smentisce”, ma andrebbe restituita al suo significato più fedele, ovvero di proporre una discussione su qualcosa. King dice – usando come esempio l’attentato contro il marito di Nancy Pelosi – che ci sarebbe una sbrigativa tentazione a incasellare le motivazioni di persone o loro azioni dentro schemi facili e stabiliti, a partire da pochi indizi su di loro, spesso raccolti affannosamente su internet. E spesso strumentalmente, tra l’altro: per attribuire malefatte a questa o quella predicazione politica o culturale. L’aggressore di Pelosi è stato ricondotto a cliché opposti, a seconda delle informazioni su di lui che venivano selezionate. La tesi di King è che questo lavoro sia superficiale e ingannevole, e che le persone abbiano invece biografie, individualità, pensieri, di straordinaria varietà e sfumature, e che questa abitudine a offrire ai lettori una specie di figurina disinformi invece che far capire meglio. E ha sicuramente ragione: nessuno di noi, dovesse malauguratamente diventare protagonista di notizie drammatiche, si riconoscerebbe nella limitata sintesi che i giornali potrebbero dare delle sue scelte. Ma è anche vero che una “limitata sintesi” è il massimo che ci si può aspettare dal giornalismo: che è sempre un inganno che nei casi più riusciti cerca di limitare i rischi delle sue ingannevolezze. Ricordarlo sempre anche ai lettori, rendendoli consapevoli delle semplificazioni, è a sua volta un fattore di quella eventuale riuscita.

“Alla fine quello che scegliamo di descrivere di questi uomini violenti rivela più di noi che di loro. Le relazioni tra disagio mentale, pensiero complottista, retorica di destra e violenza le creiamo nelle nostre teste. Quello che ristagna, almeno nella mente dei giornalisti, è il desiderio di connettere tutti questi puntini e di presentare, in una prosa concisa ma molto delimitata, una teoria che permetta a chi legge di immaginare risposte ma anche di rimuovere responsabilità”.

Fine di questo prologo.

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