domenica 22 Giugno 2025
La probabile chiusura del sito italiano Freeda è stata molto commentata nell’ultima settimana (qui sotto ne diciamo meglio), perché le dimensioni del progetto, del suo investimento, dei suoi risultati di traffico, l’avevano fatto molto conoscere tra chi segue gli sviluppi dell’informazione digitale in questo secolo. Oltre alla storia singolare e con i suoi propri aspetti e spiegazioni, c’è una cosa universale che è il caso di notare che non riguarda tanto il fallimento del progetto, ma alcuni commenti al fallimento del progetto. Nel quale sono sicuramente stati fatti degli sbagli – se ne fanno sempre, soprattutto coi progetti nuovi – ed è forse mancata una prudenza necessaria ad ogni impresa che si imbarchi nelle volatilità delle tendenze commerciali e culturali di internet.
Ma bisogna che troviamo una misura tra il predicare continuamente che i fallimenti vanno messi in conto, che i rischi non devono inibire l’innovazione, che gli sbagli non devono diventare un marchio di ignominia, e dall’altra parte il commentare come scellerata qualsiasi impresa che non abbia funzionato. Naturalmente gli sbagli in questo e in altri casi hanno persone che ne pagano le conseguenze, chi ci ha creduto, chi ci ha investito e soprattutto chi ci ha lavorato e rischia di non avere più un lavoro. Ma trattare tutto questo come un monito a non fare, a non inventare, a non provare, è il modo migliore per conservare la resistenza all’innovazione e agli esperimenti che in Italia resta fortissima. La grande rivoluzione di internet è stata soprattutto la possibilità di provare a fare cose prima impensabili con grande autonomia e iniziativa: sapendo che una su cento avrebbe funzionato, ma le altre 99 avrebbero insegnato qualcosa. Per far funzionare quell’una serve che se ne provino cento.
Fine di questo prologo.
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