domenica 23 Luglio 2023

Charlie, basta una parola

Questo ultimo prologo prima delle vacanze adotta – sul tema dell’anno, nell’ambito del futuro dei giornali – la sintesi di Joshua Benton, del sito americano NiemanLab. A proposito degli allarmi e delle diffidenze sull’uso nei giornali delle “intelligenze artificiali”, Benton ha provato a far scrivere a ChatGPT un articolo di cronaca, con le stesse indicazioni che dà ai suoi studenti in un corso universitario, e il risultato ha ottenuto questo suo giudizio: “Quello prodotto da ChatGPT sarebbe stato un articolo piuttosto mediocre ma, a essere sincero, ne ho letti di peggio scritti da umani”.

Le cautele sui software di questo genere, scrive lo stesso Benton, hanno due ragionevoli argomenti: uno è che commettono degli errori, l’altro è che possono sottrarre lavoro agli umani. Ed è giusto parlarne e considerare le conseguenze. Ma quando diciamo che le “AI” producono dei risultati peggiori di quelli prodotti dai giornalisti stiamo intanto parlando dei risultati peggiori delle AI e dei risultati migliori dei giornalisti: esistono già oggi testi giornalistici prodotti da AI con risultati più dignitosi di certi trascurati, sciatti, inesatti articoli scritti da persone.

E soprattutto: il racconto mediatico delle AI si è dedicato con grandi semplificazioni all’idea che “scrivano gli articoli al posto dei giornalisti”, mentre la loro maggiore funzione e utilità – sia ora che in prospettiva – è di essere uno strumento per rendere più rapido e semplice – ma anche migliore – il lavoro dei giornalisti che scrivono gli articoli. Immaginare che i testi delle AI vengano pubblicati tali e quali, con effetti disastrosi, è come temere che la registrazione di un’intervista venga pubblicata tale e quale, integralmente, senza un lavoro di editing, revisione, taglio. O che il risultato di una ricerca su Google venga copincollato in un articolo. Il registratore, il trascrittore automatico, lo stesso Google, sono strumenti che facilitano il lavoro di chi scrive e che gli consegnano un “grezzo” da lavorare. Già da molti anni in molti giornali si usano traduttori automatici per tradurre parti di testo o testi integrali: nei casi migliori rivedendo e migliorando quelle traduzioni, nei più pigri no. Ma nessuno ha lanciato allarmi sul fatto che Google Translator porti alla rovina del giornalismo o alla perdita di posti di lavoro nelle redazioni. Forse perché non ha nel nome il suggestivo e umanizzante termine di “intelligenza”.

Fine di questo prologo.

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