Renzi non cambia, i suoi avversari neanche

È da quando è sulla scena, che più o meno ogni giorno qualcuno chiede a Matteo Renzi di essere diverso da come è. Per un periodo l’ha fatto anche Europa, quando temeva che gli scossoni che il rottamatore dava al Pd, allora malato, potessero ammazzarlo.

Era un pronostico assai diffuso al tempo (sembra un secolo fa, sono appena due anni). Non so se fosse da assimilare alle odierne gufate, in ogni caso era un timore sbagliato. Oggi dire che Renzi abbia guarito il Pd è un eufemismo. E dovrebbe bastare questo a chiudere le polemiche sulla Leopolda: pur senza esporre bandiere del Pd, la verità è che le Leopolde hanno salvato il Pd, fin dalla prima edizione. Prima come incubatrici, poi come vettori del gruppo dirigente che ha portato i democratici a governare l’Italia, a battersi in prima fila in Europa, a divenire oggetto d’attenzione per i progressisti nel mondo.

Più che sbagliato, è inutile chiedere a Renzi di cambiare. Qualsiasi istanza di normalizzazione, rivolta con le migliori intenzioni, cadrà nel vuoto. Renzi può cambiare tattica e tempi, anzi è rapidissimo a farlo, ma non cambierà mai prassi operativa. Appena pensa di poterselo permettere, tratta la burocrazia di Bruxelles come una volta trattò i tecnici del senato italiano: da intralci alla forza e all’autonomia della scelta politica. È un po’ come per la Leopolda: tutti si interrogano su come debba per forza cambiare (o sparire) ora che il renzismo è partito, governo, istituzione; Renzi, senza interrogarsi troppo, si siede al solito banco da dj e conduce il solito gioco.

Il fatto è che sono gli altri, sostenitori e avversari, che dovrebbero cambiare e non l’hanno fatto.

Fra gli amici ce ne sono troppi che si sono semplicemente messi nella scia, e non assumono là dove dovrebbero il rischio di rovesciare lo status quo, come invece sarebbe necessario visto che l’irruenza del leader non può arrivare dovunque.

Fra gli avversari nessuno, né a destra né a sinistra, trova argomenti critici che suonino convincenti applicati a Renzi: è inverosimile dargli dello statalista tassatore, trattarlo da novello Berlusconi nemico del popolo è ancora più improbabile.

La Cgil oggi supererà bene la prova della piazza. La prova più difficile da affrontare però sarà altra, sarà mettersi in gioco in positivo per il bene di tutto il paese abbandonando le strade che nel passato hanno condotto invariabilmente a brutte illusioni e a sconfitte per il mondo del lavoro.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.