Gli altri modi di scuoiare un gatto – Terza e ultima parte

Il riassunto delle puntate precedenti lo trovate qui e qui

Febbraio 2010
Insomma, il film è finito. Finito? Macché. Non solo bisogna montare, fare la color correction e parecchi mesi di mix audio eccetera. Bisogna anche girare un pezzettino, negatoci dal cattivo tempo. E stavolta, sul set, ci sono anch’io. Si torna a Peenemunde, ma stavolta le cose sono decisamente più avventurose. Tanto per dirne una, il mare è ghiacciato. Mai visto una cosa simile. Arriviamo a tarda notte e andiamo a fare un giro sulla spiaggia dove gireremo: si cammina sul mare costellato di picchi di ghiaccio rotto, scogli gelati come in un quadro di Caspar David Friedrich.

Il silenzio è assoluto quanto inquietante. Eppure, il giorno dopo, la nostra eroica micro-troupe è di nuovo lì, a girare l’inizio del film: Bogdan e Izabela, bambini, corrono sulla spiaggia parlando d’amore, come faranno alla fine del film. Insomma, è anche una scena importante. I due bambini-attori sono svegli e veloci. Io, l’alleato italiano, sono preparato. Calzamaglia, calzini doppi, scarponi, guanti, sciarpa, giaccone, berretto. C’è pure il sole. Ma ho comunque freddo. Oggi faccio il tuttofare: tengo su gli stativi quando c’è vento, spingo i carrelli, porto via l’equipaggiamento quando abbiamo finito. Il giorno dopo, di nuovo a Berlino per girare i pick-ups o fegatelli, come diremmo noi: qualche totalone di un paio di teatri. Ho anche un mio meraviglioso momento di gloria: passeggio avanti e indietro fingendo di uscire da uno dei suddetti teatri. La scena verrà tagliata. Lo sceneggiatore, una volta che ha scritto, è utile come un paracarro.

Ottobre 2010
Radek accende la sua smisurata TV 52”. Mette il DVD con i sottotitoli inglesi.
“Pronto?”
Sono pronto. Eccolo, il film. Per me è la primissima visione. Lo vedrò altre volte, con piccoli cambiamenti di mix audio e di color correction. Ma questa è veramente la prima volta, e l’emozione non sarà così forte neanche al cinema.
Le cose che non mi convincevano o non mi piacevano continuano a punzecchiarmi, ma forse sono solo io: il film funziona. Le cose che mi piacevano molto fin dalla prima stesura, quelle piccole fortune che acchiappi al primo colpo, rimangono, e vanno benone. Zamachowskij è meraviglioso, seguito a ruota da Agata Buzek. Pawel, alias Antoni Pawlicki, è assolutamente giusto per il ruolo di Pawel, lattaio e spasimante di Ania/Agata. E qui c’è una lezione fondamentale. All’inizio, Antoni mi sembrava sbagliato. Un po’ troppo figo, per essere un lattaio di paese. Ma Radek ha fatto di testa sua e ha avuto ragione: Agata è una bella ragazza. Il Pawel della situazione deve sembrare credibile: il pubblico deve pensare che una come lei, cantante lirica, possa mettersi insieme a uno come lui, lattaio di paese. Se il suddetto lattaio fosse anche brutto, insomma, si andrebbe nella fantascienza. Lo so, è un ragionamento superficiale, looks aren’t everything eccetera: ma le cose vanno così.

Comunque, il film fila. Neanche 90 minuti, pieno di ritmo e di musica. La colonna sonora di Daniel Sus funziona meravigliosamente. La cantante lirica che sostituisce Ania per le incisioni ad hoc di Mozart e non solo è Ania Vegry, meglio nota come Ania, la sorella di Radek. Suo padre Krystof ha portato l’orchestra di Hannover. Per Radek, insomma, questa è una storia molto personale. C’è tutta la musica nella quale ha vissuto tutta la vita. Ci sono echi del suo passato in Polonia, di sua nonna Sofia, che purtroppo morirà prima di vedere il film. C’è la musica di suo padre, di sua madre, maestra di piano, e di sua sorella. E poi c’è l’ironia di Czarek. E infine il mio tocco: battutacce, romanticismo e un finale di quelli che ti fanno uscire dal cinema pensando “ecco, sto meglio e voglio fare qualcosa di buono”. Radek ama i finali terrificanti, in cui muoiono tutti, ma proprio tutti. Io amo quelli in cui non solo si vince, ma si stravince, con tanto di corsa all’aeroporto e bacio sotto la pioggia: sono un fervido discepolo di Richard Curtis, in questo e non solo. Nel finale del film abbiamo trovato un compromesso che evita entrambe le bugie, e forse è più vicino a quello che è la vita.

Ma tutti e due volevamo un finale che non fosse il Solito Film Europeo. E neanche il film è il Solito Film Europeo. Non c’è molto interesse sociale né politico, in Sommer Auf Dem Land. C’è un grosso tema etico, però, ben nascosto alla fine del film. E c’è un nostro giudizio. Non volevamo fare prediche: ci ha sempre infastidito l’idea che chi fa film, o comunque crea qualcosa, ne sappia per forza più degli altri, o peggio possa imporre la sua risposta agli altri. Volevamo raccontare una storia. Far ridere, piangere, divertire. Mentre guardo Sommer Auf Dem Land ancora grezzo, penso che ci siamo riusciti. E mi commuovo un po’, perché sono quasi quattro anni che penso a questo film. Ci ragiono, mi arrabbio, gli tengo il muso, lo dimentico, ci ritorno. Soprattutto, ci spero, per fare sì che tutte le pagine scritte, i lavori iniziati, i chilometri fatti, servano a qualcosa. Qualunque sia la bottom line, io, Radek e tutti gli altri questo film l’abbiamo fatto. C’è. Non ce lo potete togliere. È il nostro primo film.

Febbraio 2012
La prima del film ad Hannover: Radek gioca in casa, insomma. Ci andiamo tutti: io e la mia ragazza Michela, Radek, Fabian, Henning, Daniel. Mezza troupe e un sacco di gente a riempire una sala di un bel cinema della città, in una notte freddissima. Io ho un pauroso raffreddore, per cui mi faccio vedere il meno possibile e mi rintano in un angolo a stare malissimo, con un naso da cocainomane, immaginandomi i commenti del pubblico: ecco, vedi, quelli che scrivono sono sempre tutti fatti. Però racconto il film a Michela: non ci sono sottotitoli, ma ormai un po’ di tedesco lo so e soprattutto questo film lo so a memoria. Al pubblico il film piace tantissimo. Almeno, nei cinema che visitiamo nel tour promozionale. Radek e Fabian gireranno mezza Germania (pare che a Friburgo il film sia un successone. Go figure) a promuovere e presentare il film: io e Michela ci uniamo a loro per Hannover e Berlino, sia a Potsdam che in città, al Kino Krokodil, che fa solo film dell’Europa dell’Est e si chiama così perché c’è effettivamente un coccodrillo imbalsamato, blu, appeso al soffitto. Il proprietario ci vede arrivare e ci offre una vodka. Radek fa un po’ di Q&A dopo il film.

La domanda sulla bocca di tutti è una sola: che fine ha fatto la mucca Klara?
La mucca Klara era incinta, mentre giravamo. Ha avuto un bel vitellino e adesso sta con l’animal trainer del film. Non nel senso che è fidanzata: se ne occupa lui. Non sappiamo se intenda tornare o no sulle scene. Di sicuro non con un sequel di questo film.
A proposito: e adesso?
La cosa terribile di questo lavoro (diciamo noi quando vogliamo flagellarci, dimenticando che lavoriamo a casa e ci divertiamo tantissimo) è che una volta che hai finito un film, o un fumetto, non è finita lì. Si ricomincia. Perché non è da un film solo che si fa una carriera. Perché Non Sappiamo Fare Altro. Perché non vogliamo fare altro. Perché l’unico senso che ha finire un lavoro, è iniziarne un altro.

Io e Radek abbiamo già iniziato a scrivere. Abbiamo perso un sacco di tempo giostrando due o tre idee. Una, con Czarek, mi è piaciuta così poco che mi sono tirato fuori: era una storia di vichinghi, e a me venivano solo gag. Per cui è diventata questa storia di Topolino. Però, insomma, un po’ di materiale c’è. E adesso non abbiamo altra scelta che rinchiuderci da qualche parte e scrivere.

Non vedo l’ora di ricominciare.
(Next: qualcosa di completamente diverso)

Roberto Gagnor

Roberto Gagnor (Torino, 1977) scrive fumetti per Topolino dal 2003. È sceneggiatore e autore televisivo e radiofonico. Ha vinto il concorso Talenti in Corto con il suo ultimo cortometraggio, Il Numero di Sharon. Insegna sceneggiatura all’ICMA di Busto Arsizio e all'Accademia 09 di Milano.