L’Aquila e le tasse da restituire

La Commissione Europea sostiene che alcuni imprenditori non avessero titolo per sfruttare le agevolazioni fiscali concesse dopo il terremoto del 2009

(ANSA/Berardino Santilli)
(ANSA/Berardino Santilli)

Ieri sera si è tenuta una partecipata manifestazione all’Aquila, in Abruzzo, per protestare contro la richiesta avanzata dalla Commissione Europea ad alcuni commercianti locali di restituire al fisco italiano parte del denaro che hanno tenuto per sé in ragione delle agevolazioni fiscali ricevute fra il 2009 e il 2010, dopo che il 6 aprile 2009 un violento terremoto causò più di trecento morti e miliardi di euro di danni. «Reduci dal terremoto, vittime dello Stato», c’era scritto su un cartello appeso al camion che apriva il corteo. Secondo le stime degli organizzatori, alla manifestazione hanno partecipato circa 5.000 persone (la metà, secondo le autorità locali).

I politici locali, a prescindere dalla propria appartenenza, hanno parlato di “palese ingiustizia” e di “una burocrazia e una politica che non vogliono fare fino in fondo i conti con quello che accadde qui”, ma la vicenda è più intricata di quello che sembra. Tramite un portavoce, la Commissione Europea ha fatto sapere che non vuole indietro i soldi di tutte le aziende che hanno ricevuto delle agevolazioni, ma solo da chi le ha ottenute senza averne diritto.

La storia è iniziata nel 2012, quando la Commissione Europea aveva avviato un’indagine sulla distribuzione degli aiuti fiscali in Italia per le persone e aziende colpite da un disastro naturale. I risultati sono arrivati nel 2015. La Commissione sostiene che fra il 2002 e il 2011 le procedure previste dal governo italiano «non obbligavano le imprese a dimostrare di avere subito un danno», né di «provare l’importo dei danni subiti». Di conseguenza, sempre secondo la Commissione, in seguito al terremoto dell’Aquila hanno beneficiato di agevolazioni fiscali molte aziende che in realtà non erano state colpite dal terremoto – perché per esempio avevano all’Aquila solamente la sede legale ma lavoravano altrove – oppure solo in minima parte. Di conseguenza la Commissione ritiene che queste aziende abbiano beneficiato di un “aiuto di Stato” non compatibile con le norme europee sulla concorrenza, e che va restituito.

Né la Commissione né il governo hanno diffuso dei numeri che possano far capire la dimensione del problema. In una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cofirmata da alcune autorità locali come il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, si dice che l’ordine di restituzione interessa «circa 320 imprese e persone fisiche» per un totale di 75 milioni di euro. La quota che ciascuna azienda deve restituire è stata decisa da un Commissario nominato dal governo italiano. La rata dev’essere pagata in un’unica soluzione entro 60 giorni da quando viene ricevuta.

Nella lettera aperta, le autorità dell’Aquila hanno anticipato che diverse aziende contattate dal governo «non hanno queste risorse e quindi falliranno, altre passeranno a un DURC negativo [cioè saranno considerate ufficialmente debitrici dello Stato] e non potranno più partecipare a bandi pubblici, per tutte si creerà un drammatico problema di bilancio e si perderanno molte centinaia di posti di lavoro». Uno degli imprenditori aquilani a cui il governo ha chiesto di restituire parte delle agevolazioni ha parlato in forma anonima ad Abruzzoweb spiegando che lo stato gli ha chiesto 500mila euro: «una somma che non avevamo messo assolutamente in programma di dover sborsare. Se questa assurda tassa postuma fosse confermata, non ci rimarrebbe altro che chiudere i battenti, licenziare i 30 operai ed andate altrove».

La settimana scorsa, comunque, il governo Gentiloni ha prorogato di quattro mesi la scadenza del pagamento delle quote per le aziende interessate, probabilmente per lasciare che sia il nuovo governo a occuparsi della questione. Il nuovo termine scadrà ad agosto.