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  • Sabato 30 settembre 2017

Anche i medici cubani si ribellano

In genere sono apprezzati e protetti dal governo, ma un gruppo di loro che lavora all'estero sta chiedendo maggiori libertà

Un gruppo di medici cubani membri del programma Mais Médicos all'Università di Brasilia, il 26 agosto 2013, per un periodo di formazione sul sistema sanitario brasiliano e un corso di portoghese (AP Photo/Eraldo Peres)
Un gruppo di medici cubani membri del programma Mais Médicos all'Università di Brasilia, il 26 agosto 2013, per un periodo di formazione sul sistema sanitario brasiliano e un corso di portoghese (AP Photo/Eraldo Peres)

Più di cento medici cubani che lavorano in Brasile hanno chiesto alla giustizia brasiliana di invalidare il loro contratto nel paese, dove sono stati mandati grazie al programma Mais Médicos (“Più Medici”), una sorta di “prestito” di Cuba al Brasile. I medici chiedono di poter continuare a lavorare in Brasile come comuni freelance invece che come dipendenti pubblici cubani, in modo da ricevere un compenso maggiore. Il contratto con cui lavorano in Brasile infatti stabilisce che ricevano solo un quarto della somma che il governo brasiliano paga a Cuba per il loro “prestito”, e che non possano portare i propri figli a vivere in Brasile con loro. Questa condizione è stata definita «una forma di schiavismo» da un giudice brasiliano.

Uno dei pochi vanti di Cuba a livello internazionale è la bravura e la preparazione dei medici cubani, che il governo ha più volte usato come una sorta di merce di esportazione. L’abilità dei medici cubani è talmente riconosciuta che dal 2006 fino allo scorso gennaio gli Stati Uniti hanno avuto un apprezzato programma per concedere permessi di soggiorno permanenti ai medici cubani che intendevano lavorare nel paese. La qualità del sistema sanitario cubano è stata anche usata come termine di confronto col sistema statunitense nel discusso documentario di Michael Moore Sicko (2007). Il governo cubano tende a trattare piuttosto bene i suoi medici, dato che contribuiscono a fargli fare bella figura davanti alla comunità internazionale: le proteste di questo tipo sono perciò piuttosto rare.

Nel caso del Brasile l’accordo internazionale grazie al quale i medici cubani lavorano nel paese – ognuno per una durata di tre anni – è stato realizzato con il sostegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è stato definito un successo dalle Nazioni Unite, dato che dopo il suo inizio la mortalità infantile in Brasile è diminuita ed è stata resa disponibile l’assistenza sanitaria a molte comunità indigene.

Finora circa 18mila medici cubani hanno prestato servizio in Brasile grazie a Mais Médicos, e oggi circa 8.600 lavorano nel paese. Il Brasile paga a Cuba circa tremila euro al mese per ogni medico – di cui meno di mille euro finiscono nelle tasche dei medici – e dato il loro successo si possono considerare una delle più preziose “merci di esportazione” del paese caraibico. Secondo l’avvocato André de Santana Corrêa, che sta assistendo molti dei medici cubani, contratti di questo genere violano i diritti dei lavoratori contenuti nella Costituzione brasiliana.

Le proteste sono iniziate dopo che una di loro, Anis Deli Grana de Carvalho, ha fatto causa al governo brasiliano nel settembre 2016, poco prima che i suoi tre anni di servizio in Brasile scadessero. Non dev’essere stata una decisione facile: mettendosi contro un programma così vantaggioso per il governo cubano, si rischia di subire conseguenze dolorose come il licenziamento o l’esilio. Almeno 150 medici cubani hanno seguito l’esempio di Grana e fatto causa al governo brasiliano esponendosi agli stessi rischi, con l’obiettivo di migliorare la propria condizione di lavoro.

In un articolo dedicato a questa vicenda, il New York Times cita ad esempio il caso di Maireilys Álvarez Rodríguez, che insieme al marito, a sua volta medico, ha ottenuto da un tribunale di poter continuare a lavorare in Brasile come freelance. Per poter lavorare in Brasile la coppia aveva dovuto lasciare a Cuba i propri figli, ma aveva pensato che ne valesse la pena perché lo stipendio in Brasile sarebbe stato più alto di quello cubano, equivalente a circa 25 euro. Grazie alla causa, Álvarez e suo marito hanno ottenuto di poter continuare a lavorare in Brasile con un compenso maggiore e hanno anche potuto portare i propri figli nel paese.

Alla maggior parte dei medici cubani che hanno fatto causa al governo brasiliano però non è andata così bene: molti giudici infatti non gli hanno dato ragione e Cuba ha li messi davanti alla scelta tra il licenziamento e un esilio di otto anni e il rientro immediato in patria. Dopo aver perso la causa, Grana – che come diversi altri medici nel frattempo si era sposata – ha scelto di restare in Brasile e per otto anni non potrà tornare a Cuba.

Il governo brasiliano, fra l’altro, ha fatto appello in tutti i casi in cui i giudici hanno dato ragione ai medici cubani; l’avvocato Santana spera che i casi arrivino alla Corte Suprema Federale, cosa per cui però potrebbero volerci anni, considerati i lunghi tempi della giustizia brasiliana.

A proposito di tutta la storia, il ministro della Sanità brasiliano Ricardo Barros ha detto che non è stata commessa nessuna ingiustizia perché quando i medici cubani firmarono i contratti per lavorare in Brasile conoscevano i termini dell’accordo e perché il loro compenso è simile a quello che i medici brasiliani ricevono durante gli anni di specializzazione.